Secondo i dati del MEF, la piaga dell’evasione costa agli italiani 83,6 miliardi di euro: una montagna di soldi che tuttavia è meno della metà rispetto ai 180 – sempre miliardi – che se ne vanno tutti alla voce sprechi & inefficienze della Pubblica Amministrazione.
Sono conti definiti “approssimativi”, fatti dalla CGIA di Mestre “senza alcun rigore scientifico, poiché gli effetti economici delle inefficienze pubbliche che si ‘scaricano’ sui privati sono di fonte diversa, gli ambiti in molti casi si sovrappongono e, per tali ragioni, non sono addizionabili”.
Ma vale, secondo la CGIA, una certa fondatezza logica del ragionamento, “poiché una buona parte dell’opinione pubblica ha, da un lato, una forte sensibilità verso il tema dell’evasione, ma dall’altro avverte in misura meno preoccupante gli effetti degli sprechi, degli sperperi e delle inefficienze della PA”. Un danno collaterale quasi accettato, anche se giocoforza, constatando sulla pelle ogni giorno le inadeguatezze che rallentano e rendono a volte insopportabile la macchina pubblica italiana. “La lentezza con cui lavorano molti uffici pubblici e la nostra giustizia, oppure gli sprechi presenti nella sanità e nel trasporto pubblico locale richiedono un intervento di rimozione immediato”.
Un ragionamento che prosegue liscio, visto che se da una parte è vero che recuperando il sommerso e debellando l’evasione porterebbe a ridurre il carico fiscale di chi le tasse le paga dalla prima all’ultima, è altrettanto vero che l’inerzia della PA porta in dono lo stesso fardello che pesa sulle spalle dei contribuenti. Tutto questo, prosegue la CGIA, “senza generalizzare e riconoscendo anche i livelli di eccellenza che caratterizzano molti settori della nostra PA, come ad esempio la sanità nelle regioni centro-settentrionali, il livello di insegnamento e di professionalità presenti in molte Università/enti di ricerca e la qualità del lavoro effettuato dalle forze dell’ordine”.
Volendo fare nomi e cognomi, la CGIA di Mestre elenca poi alcune analisi delle più macroscopiche inefficienze che caratterizzano una macchina pubblica lenta, farraginosa e pachidermica. Ad esempio, l’onere annuo della burocrazia, che secondo un’indagine di “The European House Ambrosetti” costa alle aziende 57,2 miliardi di euro. Per non toccare uno dei tasti più dolenti, ovvero i debiti commerciali della PA verso i propri fornitori, che secondo Eurostat hanno raggiunto i 49,5 miliardi di euro. Ha un costo altrettanto elevato – pari a 2 punti di Pil, ovvero 40 miliardi – la lentezza della giustizia, così come altri 27,2 miliardi ne se vanno per inefficienze e sprechi della sanità pubblica, più altri 1,25 messi insieme dal settore dei trasporti. “Come evidenziato, gli effetti economici di questi malfunzionamenti, tratti da fonti diverse, non si possono sommare, anche perché in molti casi le aree di influenza delle analisi si accavallano. Queste avvertenze, tuttavia, non pregiudicano la correttezza del risultato della comparazione. In buona sostanza, possiamo affermare che l’ammontare dell’evasione fiscale sia molto inferiore agli effetti negativi generati dal cattivo funzionamento della nostra PA che, purtroppo, continua a mantenere livelli di qualità e di quantità dei servizi offerti inferiori alla media UE”.
A proposito di Europa, neanche mettendo a paragone tutte le regioni dei Paesi UE la situazione migliora, anzi: su 208 regioni europee la realtà italiana ad apparire in classifica è la Provincia Autonoma di Trento, che occupa il 100° posto. Quattro posizioni più in basso si piazzano le strutture pubbliche del Friuli Venezia Giulia, mentre scivolano alla posizione 109 quelle del Veneto e al 117esimo quelle della Provincia di Bolzano. Una situazione che si fa ancora più sconsolante scendendo verso il Sud, dove ben 5 regioni italiane compaiono fra le ultime 20 posizioni: Puglia (190), Sicilia (191), Basilicata (196), Campania (206) e Calabria (207), penultima regione europea.