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Ciao, Gigi

Autore: Ester Annetta
Il maestro ha lasciato la scena e il sipario è calato definitivamente.
Gigi Proietti se n’è andato.
Il teatro piange uno dei suoi più grandi protagonisti, resta orfano di un padre della satira intelligente e di un mattatore che ha saputo coniugare straordinariamente l’ironia con la saggezza.

Ancora una volta, pur nell’atto d’andar via, ha saputo catalizzare su di sé un pubblico immenso, l’Italia tutta, rubando per un giorno la scena ad un altro, vile, protagonista che continua a voler restare al centro dell’attenzione e che non elargisce risate e leggerezza, ma solo paura e angoscia.

Solo un paio di giorni prima un altro grande se n’era andato, portandosi via il più amato degli James Bond che siano mai stati interpretati. Sean Connery aveva ceduto anche lui alla stanchezza di questo tempo senza tempo, infame, vuoto ormai di speranza e pregno solo d’angosciosa attesa.
Ma Sean era di Hollywood e, perciò, a ricordarlo e rimpiangerlo c’è stato il mondo intero, una platea esagerata e dispersiva che ha annientato l’intimità del pensiero a vantaggio dell’”evento”.

Invece Gigi era solo nostro, era d’Italia, era di Roma, del suo popolo e dei suoi quartieri.
Perderlo è stato perciò come restare senza un padre, un fratello, un amico: un dolore autentico, intimo, personale per i tanti che appartengono a generazioni che sono cresciute con lui.
Non era distante, non era irraggiungibile Gigi: era uno di noi, uno che in maniera elegante e intelligente, senza mai scadere nella volgarità, sapeva dare ad ognuno il suo, sapeva dispensare saggezza e morali, sapeva far ridere e sorridere… anche in maniera amara.
Parlava a tutti, capace com’era di usare ogni registro di linguaggio e di contestualizzare ogni contenuto, forte anche della sua grande empatia che lo portava a “sintonizzarsi” con gli spettatori come persone prima ancora che come pubblico.

Una vita dedicata all’arte, appresa senza maestri e senza altra scuola che non fosse la strada, la vita vera, la sua Roma. Una vocazione scoperta mentre era intento a costruirsi un altro futuro, una diversa carriera fatta di scartoffie, leggi e scrivanie perché – come lo esortava suo padre – era bene prendere “un pezzo di carta”, che “se piove o tira vento è una sicurezza”.

Il richiamo delle tavole consunte del palcoscenico, la magia trasformista di quelle quinte dietro le quali poteva diventare il personaggio che voleva di volta in volta essere, era stato più forte.
Di quello avrebbe vissuto e di nient’altro.

Non era stato facile all’inizio; ma poi il successo era arrivato grazie ad una “botta di fortuna”, che ci vuole sempre – come avrebbe detto lui stesso – perché non è vero che se sei bravo prima o poi sfondi. E l’occasione era stata la defezione di Domenico Modugno, nella commedia musicale di Garinei e Giovannini “Alleluja brava gente” a seguito di un litigio con l’altro protagonista, Renato Rascel.

Poi c’erano stati il cinema e la televisione e, ancora e sempre, il teatro, il suo primo grande amore, ai cui segreti ed alla cui bellezza aveva iniziato tanti attori, che ora piangono “il maestro”, quel faro potente che li ha guidati alle soglie del proprio successo.

Il suo cuore grande, che aveva donato al pubblico, alla gente, ai suoi allievi, si è fermato. Forse non ce l’ha fatta a resistere alla disfatta imposta dal subdolo nemico che ci assedia e che ha tolto il fiato anche allo spettacolo e all’arte oltre che alle persone.

Perciò forse Gigi ha deciso d’andarsene, ma non senza un ultimo, geniale colpo di teatro: lui che aveva sempre ironizzato sulla sua data di nascita, l’ha scelta per la sua uscita di scena, nel giorno del suo ottantesimo compleanno.
Nascere e morire nello stesso giorno è stata la sua più ardita mandrakata, una sottile rivincita contro la morte, tanto per ricordare pure a lei che “al Cavaliere Nero nun je devi…...”
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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