Un antico proverbio arabo recita: “La felicità non è un posto in cui arrivare, ma una casa in cui tornare”. Pillole di saggezza che dimenticano un dettaglio molto più prosaico: il denaro necessario per trasformare il sogno in un rogito notarile.
Al netto di dati che dipingono gli italiani come un popolo di fieri proprietari di immobili, con percentuali che superano il 70%, innamorati persi del mattone considerato da sempre “il bene rifugio” più sicuro di tutti, qualcuno si è messo a contare uno dopo l’altro quanti anni di stipendi immacolati (a patto di poterlo fare) servono per entrare nel circolo dei proprietari della sospirata prima casa.
La situazione, per cominciare, non è affatto rosea, e subisce ancora gli effetti della fiammata immobiliare scatenata dalla pandemia, resa ancora più calda da quella dell’inflazione: una tempesta perfetta che al contrario ha raffreddato gli stipendi rendendo il desiderio di acquisto sempre più arduo.
La ricerca, realizzata dalla società americana “Creditnews”, ha passato al setaccio gli stipendi medi di 25 Paesi Ocse con almeno 5 milioni di abitanti incrociando i dati con i prezzi medi di un appartamento composto da due camere, per 60 mq totali. La classica prima casa di una coppia appena sposata o fresca di convivenza, consapevole che con l’arrivo di un bimbo sarà necessario spostarsi altrove.
Ne viene fuori un quadro che misura un potere di acquisto medio, cifra molto variabile in base alla posizione geografica. In Italia, per arrivare al dunque, è necessario mettere l’anima in pace e girare per intero gli stipendi dei prossimi cinque anni. In linea generale un arco di tempo medio e addirittura inferiore alla maggior parte degli altri Paesi UE, dove al contrario l’impegno richiesto è spesso ben più lungo. Volendo fare un range si va 2,7 anni sufficienti in Turchia ai 13,5 della Svizzera. In mezzo i 4,8 anni di lavoro necessari in Spagna, i 4,3 del Regno Unito, i 3,7 degli Stati Uniti e i 3,5 del Belgio. Va peggio in Francia e Germania, dove servono 7,1 anni, mentre in Giappone, Nuova Zelanda e Australia si sfiorano gli otto anni (7,7).
È anche vero che oltre agli stipendi medi dei singoli Paesi, cambia molto anche il mercato immobiliare, passando dai 278mila dollari degli Stati Uniti ai 207mila euro dell’Italia, per planare sugli 83mila della Turchia. Al netto che, soprattutto per gli Stati Uniti, il concetto di appartamento di 60 mq è lontano dalla cultura immobiliare di un Paese abituato a pensare “in grande”.
Al momento, precisa un’altra analisi della “S&P Global Ratings”, l’affievolirsi degli effetti dell’inflazione non sembra avere alcun riscontro sul mercato immobiliare, segnato da una certa stagnazione e da cui si attende addirittura un rialzo dovuto al costo dei materiali e del mercato del lavoro, a cui si aggiunge il graduale venir meno dei sostegni edilizi concessi dai governi.
A scendere nel dettaglio della situazione italiana è stato invece lo scorso anno lo studio realizzato da “Ener2Crowd”, una piattaforma di crowfunding ambientale, che ha calcolato prezzi degli immobili e capacità di risparmio di 107 città italiane, arrivando alla triste conclusione che per dagli anni ’70 ad oggi, quando un operario con 50mila lire di stipendio mensile poteva estinguere il mutuo per un appartamento centrale in 20 anni, oggi è necessario almeno il doppio del tempo per uno di eguale metratura in periferia.
Secondo lo studio, per acquistare un immobile di 100 mq scarsi, i milanesi devono mettersi il cuore in pace per 50 anni, ma ancora di più chi abita a Lucca (51,3), Savona (55,6) e Bolzano (43,1). Un po’ meno a Firenze (49,3), Imperia (48,3), Rimini (44,5) e Aosta (43,7).
Le drastiche variazioni del potere d’acquisto consentono di mostrare i cicli degli ultimi 30 anni del mercato immobiliare, fra il 1993 e il 2000 interessato da una discesa costante dei prezzi nominali. La fase di ripresa e il forte aumento dei prezzi, durato fino al 2007, era la diretta conseguenza degli effetti a lungo rilascio del passaggio dalla lira all’euro. Dal 2008 scatta una nuova fase di rallentamento, questa volta figlia della voragine scatenata a livello internazionale dalla bolla dei mutui subprime il crack epocali di colossi bancari come “Leman Brothers”, il più celebre di tutti. In tempi più recenti, fra il 2011 ed il 2015, l’Italia ha vissuto in prima persona la crisi dello spread dei Btp, con crolli delle vendite e prezzi degli immobili in caduta vertiginosa. Fase che ancora oggi non si è conclusa.