Che l’Europa abbia velocità e tabelle di marcia diverse è risaputo, ma una delle differenze più fastidiose resta quella degli stipendi.
Un divario che si fa sentire in modo ancora più incisivo quando aumenta l’inflazione e il potere d’acquisto cala in modo sensibile, a meno che le retribuzioni aumentino con lo stesso ritmo. Cosa che regolarmente è successa in buona parte dei Paesi UE, tranne in Italia, ovviamente.
La differenza si fa estenuante scoprendo che – secondo la media Ocse sui salari – un dipendente a tempo pieno italiano lavora più ore dei colleghi europei, ma guadagnando molto meno. La crescita degli stipendi italiani si è fermata nel 2022, cristallizzando la media 31.500 euro all’anno contro i 41.700 dei francesi e i 45.500 dei tedeschi, che in 20 anni netti, dal 1992 al 2022, hanno registrato rispettivamente una crescita del 31,6 e del 22,9% che fa arrossire il triste -0,9% italiano.
Serve fede in abbondanza per pensare che arriverà un giorno, così raccontano gli esperti, in cui un operaio tedesco ed uno italiano guadagneranno la stessa cifra. Ma per adesso, bisogna resistere facendosi bastare i 25mila euro lordi e medi di un operaio italiano, con una forbice che va dai 1.100 a 1.600 euro mensili netti. Mentre in Germania la stessa forbicina parte da 1.550 per arrivare a 2.150 euro. Se ancora non bastasse, a certificare la differenza ci pensano i dati “Eurostat”, secondo cui nel settore manufatturiero il salario lordo mensile italiano si aggira sui 2.637 euro, conforme alla media europea, ma in compenso completamente surclassato dai 3.854 euro dei tedeschi e i 3.094 dei francesi, che secondo un report di “Eurydice” fanno meglio di noi anche se si parla di scuola: a fronte dei 24mila euro dei “prof” italiani, quelli francesi ne guadagnano 28mila mentre i tedeschi salgono in cattedra con 54mila euro all’anno. E se sembra andare un po’ meglio ai docenti universitari, con un sostanziale pareggio (fra 22mila e 29mila euro lordi) fra italiani, francesi e portoghesi, in realtà si scopre che a loro volta sono pagati molto meno dei colleghi di altri Paesi europei: in Belgio, Austria e Olanda il range è fra 30 e 49mila euro, e sale oltre i 50mila in Danimarca, Germania e Svizzera.
Il confronto sfiora perfino l’imbarazzo con la Germania, dove un dipendente pubblico e uno del settore sanitario guadagnano poco più di 4.200 euro al mese, mentre la media di chi lavora nel commercio si aggira sui 4 mila euro, scende a 3.600 nell’edilizia e arriva a 2.900 per il settore alberghiero e della ristorazione. Per finire in bellezza con i medici, categoria in fuga dall’Italia proprio perché attirata da ingaggi esteri molto più alti. Secondo il rapporto sul potere d’acquisto dell’Ocse, se in Italia, Francia e Spagna portano a casa l’equivalente di 105mila dollari lordi all’anno, in Germania salgono a 188 e in Olanda a 192.
L’Italia fa meglio solo nel settore minerario, con quasi 5.000 euro lordi al mese a fronte della media UE di 2.390, peccato si tratti di una nicchia riservata a personale altamente qualificato e specializzato.
L’Ocse, che preferisce calcolare in dollari il potere d’acquisto, ha fissato in 55.476 biglietti verdi la media degli stipendi di 28 fra i paesi più industrializzati al mondo. Da qui, è facile individuare il minimo toccato dal Messico (19.869 dollari), il massimo messo insieme dall’Islanda (83.661), e quello medio, in cui sguazza l’Italia (47.293 dollari).
Anche limitando l’analisi ai Paesi europei con economie simili, capire i motivi dell’enorme disparità non è semplice, e in buona parte gli esperti tendono ad attribuire le colpe ai soliti mal di pancia italiani: una burocrazia che stringe alla gola la P.A., gli scarsi investimenti tecnologici, l’assoluta latitanza di un concetto universamente riconosciuto come la meritocrazia e un sistema di contrattazione collettiva sfruttato poco e male.