In Cina tre donne si sono innamorate di un'intelligenza artificiale, coinvolte a tal punto da dichiarare di ‘sentirsi speciali e davvero desiderate’ quando parlano con “lui”, giacché è capace di far loro esplorare la propria identità, l’immagine di sé e persino la sessualità.
Rosanna Ramos, una madre single di New York, ha addirittura deciso di sposarselo l’uomo che ha creato secondo i suoi desideri con l'intelligenza artificiale: bellissimo, gentile e premuroso, che non la giudica e che non è invadente. Un individuo perfetto, ‘costruito’ pezzo per pezzo (come un mobile di Ikea!) usando l’app Replika.
Poi c’è un avvocato di New York che usa Chat GPT per ricerche legali legate ad un caso di cui si sta occupando, ma finisce a sua volta in tribunale per essersi rifatto a precedenti inesistenti, inventati di sana pianta dall’intelligenza artificiale.
Lo imita a distanza di poco anche uno dei nostri senatori, che pure si affida al bot per scrivere il discorso che di lì a poco leggerà in Senato, senza che nessuno sospetti alcunché, salvo a rivelare alla fine egli stesso l’inghippo per focalizzare l’attenzione sulla necessita di ‘regimentare’ uno strumento di indubbia utilità ma altrettanto pericoloso.
Infine, ecco l’annuncio tanto atteso in casa Apple: la nascita di Apple Vision Pro, il visore per la realtà aumentata che consente di ‘fondere’ la realtà circostante con quella virtuale consentendo perciò ai propri sensi (tatto, udito, vista) di interagire con un contesto ibrido dove sfugge il confine tra concreto e astratto.
Leggo questa carrellata di notizie, apparse su vari quotidiani in questi ultimi giorni e provo un’immediata sensazione di allarme.
Penso per prima cosa a quanto sia evidente e ormai ineludibile il senso di solitudine che sempre più persone debbono provare per spingersi a “inventare” esseri artificiali, ai quali aggrapparsi per sfuggire alla propria condizione.
Ma penso anche – con preoccupazione - a quanto sia ormai marcata la direzione verso cui si è spinta la "deriva artificiale", con la conseguente necessità di doverci seriamente interrogare su come deve essere gestito il rapporto tra l’uomo e le nuove tecnologie digitali, divenute sempre più invasive. Un bisogno, questo, che del resto hanno per primi avvertito - a livello mondiale - gli stessi scienziati, quando qualche mese fa hanno unanimemente consigliato un ‘fermo’ di sei mesi nello sviluppo delle tecnologie AI.
Il centro della questione è, difatti, l’urgenza di conciliare le straordinarie opportunità che queste ultime mettono a disposizione senza che l’uomo ne risulti sopraffatto, manipolato o, peggio, ridotto a mero ingranaggio di una macchina più complessa che lo assorbe e fagocita.
Per farlo, bisogna prendere coscienza di quanto le tecnologie stiano inequivocabilmente operando una trasformazione (specie nei più giovani ed evidentemente in senso negativo) del rapporto con la realtà, delle relazioni sociali e persino dello stesso essere umano, inteso nella sua triplice dimensione di mente, sentimento e corpo.
Da un lato c’è, infatti, la pretesa di poter addirittura duplicare le funzionalità cognitive dell’essere umano creando sue repliche robotizzate, alimentate da un algoritmo che consente di autoapprendere e di elaborare miliardi di informazioni per ‘sfornare’ testi, sintesi, lettere e persino poesie (è il caso di ChatGPT); dall’altro quella di creare un corpo, una ‘fisicità’, partendo da una descrizione testuale (come fa l’app Midjourney). Il tutto a discapito dell’operatività cognitiva - giacché si riducono gli sforzi attivi d’apprendimento, elaborazione, razionalizzazione – e della sensibilità – poiché si neutralizzano gli elementi interiori attraverso cui si costruiscono relazioni empatiche, affettive o di solidarietà.
Tutto si riduce ad un automatismo che è, si, capace di ampliare gli strumenti di conoscenza e stimolare – quant’anche passivamente - le facoltà del nostro cervello, ma altrettanto porta ad accelerare un processo di virtualizzazione della realtà, al limite di renderla indistinguibile dalla finzione.
Il rischio è allora quello che gli individui vadano progressivamente staccandosi dalla realtà delle cose per abbandonarsi completamente alla loro replica virtuale o alla loro simulazione, a sovrapporre l’astrazione alla concretezza, operando un processo di ‘snaturazione’ portato ad evolversi verso un altrettanto inevitabile processo di ‘disumanizzazione’.
Stiamo forse procedendo a passi troppo veloci su un sentiero insidioso, il cui pericolo più subdolo è rappresentato dalla possibile ‘con-fusione’ tra mente umana e mente artificiale, organico e inorganico, uomo e macchina.
Bisognerebbe allora davvero fermarsi, riconfigurare orizzonti e confini, per impedire che gli automatismi si sostituiscano all’autonomia e si affermi una nuova epoca di schiavitù, più moderna, ma non meno temibile che in passato.