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Dalla finestra di casa…

Autore: Ester Annetta
Era questo l’incipit che, una volta, ai tempi in cui ero tra gli allievi di un virtuoso laboratorio teatrale, ci venne assegnato come esercizio di scrittura creativa.

Lo scopo, al di là della stesura del testo in sé, era quello di liberare la fantasia, immaginando al di là di quella finestra tante possibili realtà - o anche soltanto sogni – ed immedesimarvisi.

Ricordo che vennero fuori delle storie bellissime, che, partendo da spunti autobiografici, andavano verso direzioni impensate, sviluppandosi in trame ed intrecci affascinanti.

Ed ognuna delineava un passato mai stato o un ipotetico futuro, dipingendo con tinte molto credibili dimensioni irreali o possibili.

Quel prezioso esercizio di stile e creatività mi è tornato in mente quando, qualche giorno fa, mi sono imbattuta nella storia di Ilaria, una ragazza di Bari che proprio “dalla finestra di casa” – anzi, da quella della sua cucina – ha visto il suo futuro e l’ha riempito di forma e sostanza, fino a farlo diventare la sua tanto agognata realtà.

Ilaria ha poco più di vent’anni e il sogno di fare la pasticciera.

Lo insegue da quando era bambina, giacché, con una nonna cuoca in famiglia, con pentole e fornelli ha familiarizzato forse ancor prima di iniziare a parlare.

Ha perciò studiato per imparare il mestiere e si è impratichita lavorando alle dipendenze di alcuni ristoranti e pasticcerie, finché, partecipando al progetto “Resto al Sud” di Invitalia (che offre incentivi a sostegno della nascita e dello sviluppo di nuove attività imprenditoriali e libero professionali nelle regioni del meridione d’Italia) ha ottenuto il finanziamento che le avrebbe finalmente consentito di aprire una pasticceria tutta sua.

Non ha fatto in tempo, fermata dal Covid e dalla crisi che ne è conseguita, cui si sono aggiunti una serie di problemi burocratici e, da ultimo, anche quel caro bollette che le ha fatto temere di dover archiviare il suo sogno e tornare alle dipendenze altrui, se non addirittura di lasciare la sua città per cercare fortuna altrove.

È stato allora però che la sua mamma ha avuto l’idea: “Che ne diresti di provare con una IAD? Ti cediamo la nostra cucina”.

“Panico totale”, dice Ilaria, rievocando quel momento. Ormai demoralizzata dalle tante difficoltà, quella possibilità non l’aveva affatto considerata; eppure era la soluzione più ovvia e a portata di mano, anzi, “di finestra”, giacché la cucina di casa ne ha una a piano strada, affacciata proprio su una graziosa piazzetta.

Il passaggio da quella intuizione materna alla concretezza dell’impresa è stato tuttavia lungo e laborioso. La IAD – acronimo che sta per Impresa Alimentare Domestica – è una realtà che al Sud in particolare si conosce ancora poco e la difficoltà maggiore – racconta sempre Ilaria – è stata quella di doversi documentare, studiare, capire, trovare qualcuno che avesse le giuste competenze per sbrogliare la matassa burocratica necessaria a dar corpo a quella possibilità.

Nella sostanza si tratta di una attività artigianale che permette la preparazione di alimenti a casa propria, che possono essere venduti a privati o ad altre imprese. Non è invece consentita la somministrazione ed è inoltre condizione necessaria per il titolare che risieda o abbia domicilio abituale nell’abitazione dove conduce l’attività.

A disciplinare questa figura d’impresa – che è stata importata dall’estero - provvede soltanto una regolamentazione europea risalente al 2004 mentre mancano specifiche norme nazionali. Il che è, dunque, un’ulteriore complicazione.

È poi richiesto il rigido rispetto di regole igienico sanitarie per la corretta conservazione e preparazione dei cibi, proprio perché l’attività si svolge in un ambiente casalingo.

Tuttavia il vantaggio impagabile è quello di poter esprimere la propria passione senza doversi sobbarcare i costi di strumentazione o attrezzature specialistiche giacché si possono utilizzare le normali dotazioni e gli utensili domestici.

E se servono mucchi di scartoffie, di attestati, di licenze, pazienza! L’importante è ottenere il risultato.

È ciò che afferma oggi Ilaria, che anche se ha dovuto penare per mesi, se ha una sveglia che suona ogni mattina alle due e mezza per ricordarle di preparare gli impasti e se lavora fino al tardo pomeriggio con solo una pausa di un’ora per il pranzo, è felicissima e fiera del suo “Little Lab”: “nulla pesa, se si fa con passione”.

E lei quella passione ce l’ha tutta e la dimostra col sorriso e la cura con cui dalla sua finestra spalancata sul futuro - dove non smette di sognare un locale più grande, attrezzato ed aperto al pubblico – porge ai clienti i suoi dolci e la sua dolcezza.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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