L’imposizione di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti sta avendo un forte impatto sia nei Paesi dell’Eurozona sia in Asia, in particolare in Cina.
La presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha ribadito la volontà di collaborare strettamente con gli Stati Uniti per individuare interessi comuni. Sebbene i negoziati possano rivelarsi complessi, trovare una soluzione non è un’opzione, ma una necessità: la tutela degli interessi europei, ha sottolineato Von der Leyen, resta una priorità assoluta.
Mentre l’Europa punta su una strategia di dialogo con gli Stati Uniti, la Francia adotta un approccio più deciso, dichiarandosi pronta a misure di ritorsione contro le nuove politiche economiche del neoeletto presidente Trump. I ministri dell’Industria, Marc Ferracci e Laurent Saint-Martin, hanno espresso una posizione netta: “Non dobbiamo entrare in una trattativa facendo concessioni, non è l’approccio giusto”, ha affermato Ferracci, auspicando il sostegno dell’Europa a questa linea. “Crediamo nella cooperazione e nel sistema multilaterale, ma non possiamo essere ingenui. Dobbiamo prepararci al peggio, ovvero alle ritorsioni, se necessario”, ha aggiunto.
Se la Francia minaccia ritorsioni, la Cina passa ai fatti. Pechino ha annunciato l’introduzione di un dazio del 15% su gas GNL e carbone provenienti dagli Stati Uniti, mentre le importazioni di macchinari agricoli saranno soggette a tariffe del 10%.
Anche il greggio e le auto di grossa cilindrata rientrano tra i beni colpiti, con un dazio aggiuntivo del 10%. Misure analoghe sono state adottate per i metalli e metalloidi strategici, tra cui tungsteno, molibdeno, tellurio, bismuto e indio, con dazi che entreranno in vigore dal 10 febbraio.
Oltre ai dazi, la Cina ha inserito Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Illumina nella sua blacklist, classificandole “entità non affidabili”. L’accusa è di aver violato i principi del mercato e interrotto gli scambi regolari con le aziende cinesi, danneggiando così gli interessi e i diritti del Paese.
L’offensiva di Pechino non si ferma qui: è stata aperta anche un’indagine antitrust contro Google per presunta violazione delle norme sulla concorrenza e sospetta infrazione della legislazione antimonopolistica. Vi è chi ritiene che una simile mossa abbia soltanto valore politico, in quanto le attività del motore di ricerca sono bandite nella repubblica popolare cinese dal 2010.
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