Avete voluto lo smart working? Ora pagate. È talmente rotonda da non fare una piega, la richiesta che i dipendenti britannici sono pronti a sottoscrivere come condizione per tornare di presenza in ufficio.
Riportato da “Bloomberg” e realizzato da “YouGov” per “Locatee”, startup svizzera specializzata nell’analisi del mondo del lavoro, il sondaggio ha evidenziato che soltanto un misero 17% si dice pronto a tornare in ufficio alle stesse condizioni di prima: tutti gli altri sarebbero ancora più disposti se l’azienda mettesse mano al portafoglio con un indennizzo pari a 5.100 sterline annue, la cifra che coprirebbe le spese di viaggio medie per coloro che vivono in provincia e ogni giorno dovrebbero nuovamente raggiungere le grandi città.
Una richiesta che al momento non ha avuto alcun tipo di riscontro, ma che in compenso fa discutere gli esperti, che valutano un effetto a catena capace di incrementare i salari del 15%. Assai difficile, in un momento come quello che sta attraversando il Regno Unito, anche se su tutto vale il precedente creato dagli Stati Uniti, dove grazie ai sussidi statali centinaia di aziende in cerca di personale sono state costrette ad alzare i salari pur di attirare qualcuno.
La verità, commentano gli esperti inglesi, è che lo smart working ha lasciato un segno indelebile sul mondo del lavoro, con rischi verso le aziende che potrebbero perdere i loro migliori professionisti se non “accettano di applicare un po’ di flessibilità agli orari”, ormai ritenuta una componente fondamentale dal 47% degli intervistati.
Ma lo stesso strascico, oltre alla categoria dei dipendenti, lo smart working lo ha lasciato nelle aziende: secondo Howard Davies, capo supremo della “NatWest”, una delle quattro grandi banche londinesi, “L’epoca in cui 2.500 persone varcavano ogni giorno la soglia dei nostri uffici sono finiti. Stiamo cercando di riorganizzare il lavoro in modo che ci sia un numero minimo di giorni al mese nei quali bisognerà stare in ufficio, e altrettanti a casa. Dipenderà dai settori e dai gruppi di lavoro, ma non penso torneremo più agli anni in cui si facevano cinque giorni di fila in ufficio”.
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