C’è chi la chiama la rivincita dei cinquantenni, chi è convinto che i 50 siano i nuovi 30 e chi considera la mezza età un nuovo target di riferimento per tutto, dalla moda alla musica, dalle vacanze al food. Manca all’appello solo chi li guarda con aria famelica e fa di tutto per accaparrarseli, perché i cinquantenni rappresentano ormai la vera forza lavoro di questo Paese strano.
Non sono chiacchiere da bar, ma numeri veri, snocciolati uno dopo l’altro dall’Istat, che partendo dal dato generale degli occupati, cresciuti di 1,86 milioni fra gennaio 2005 e lo stesso mese di quest’anno, ha svelato la prima anomalia: tra calo delle nascite e strette sulle pensioni, l’età di chi si alza ogni mattina per andare a lavorare si è alzata sempre di più ingoiando chi inizia a pensare all’esplorativa, per capire quanti anni di “condanna” gli restano da scontare.
Lo scorso gennaio (poche settimane fa), fra i lavoratori italiani si nascondevano circa 10milioni di cinquantenni, mentre nel fatidico 2005, vent’anni fa giusti, erano poco meno di 5 milioni. Per contro – e siamo alla seconda anomalia – nello stesso periodo gli under 35 occupati scendevano da 7,47 a 5,44, ovvero due milioni in meno di persone, o 4 milioni di braccia smarrite per sempre, per dirla in modo ancora più concreto.
Ma più si scende nel dettaglio e più il dato diventa curioso, perché nel 2005 preso a riferimento, la fascia compresa fra 50 e 64 anni concedeva al lavoro 4 milioni 612mila persone, che vent’anni dopo cresciute fino a toccare quota 9 milioni e 165mila. E molti meno erano i lavoratori che nel 2005 avevano soffiato sulle 65 candeline, “appena” 334mila, un’inezia rispetto agli 827mila del gennaio 2025.
È anche se il tasso di occupazione femminile ristagna al fondo di qualsiasi classifica europea, è almeno confortante che in vent’anni netti sia aumentato dell’8% (dal 45,5 al 53,5%) al netto di un incremento di 2,5 punti percentuali degli uomini (dal 69,5 al 72%). Anche in questo caso, la percentuale di signore fra 50 e i 64 anni ancora al lavoro è salita dal 43,2% al 66,1%, circa 23 punti percentuali in più.
Il calo demografico si fa sentire anche sulla fascia 35-49 anni, che malgrado nel 2025 mantenga un tasso di occupazione del 77,3%, decisamente più alto rispetto a chi ha tra 25 e 34 anni (69,4%) e tra 50 e 64 anni (66,1%), in vent’anni è passata dai 9 milioni e 938mila del 2005 agli 8 milioni e 787mila del 2025, che significa 1,15 milioni di unità in meno.
Per affrontare il fenomeno di invecchiamento della forza lavoro, l’EU-Osha (Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) ha lanciato all’inizio di quest’anno un piano che parte da un dato certo e anche doveroso: con l’allungamento della vita lavorativa, vanno affrontate le questioni legate alle diverse capacità fisiche e sensoriali dei lavoratori più avanti negli anni.
L’Agenzia sta approntando strumenti per valutare i rischi e adattare l’ambiente lavorativo mantenendo elevati gli standard di salute e sicurezza, senza mai dimenticare l’inclusione e la partecipazione attiva alla vita dell’azienda.
Il fenomeno, se può servire da magra consolazione, non è solo italiano, ma riguarda tutta l’Europa e perfino gli Stati Uniti, dove la tendenza in voga fra gli ’80 ed i ’90 di affidare i ruoli manageriali a giovani rampanti freschi di laurea e bramosi di carriere, si è praticamente invertita: oggi i “Baby boomer” sono sempre più richiesti perché portano in dote garanzie varie di esperienze e affidabilità.
Tornando da queste parti, qualche nota confortante qua e là si scorge, come ad esempio il record di occupati raggiunto lo scorso gennaio, ben 24,2 milioni, pari al +62,8%, il livello più alto dal 2004, con il numero di disoccupati in discesa del 6,3% nella fascia 15-24 anni e quello degli inattivi finalmente calato al 32,9%.
A trainare sono i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato (+702mila), seguiti dagli autonomi (+41mila), con un lieve calo dei dipendenti con contratti a termine (-230mila).