Tra il 1978 ed il 1985, durante il settennato del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ben 157mila italiani salutavano festosi il simpatico “nonno presidente con la pipa” andando in pensione. Merito, o forse colpa, dei corpulenti anni Ottanta, quando il denaro girava in abbondanza e perfino il sistema pensionistico si permetteva lussi oggi impensabili, come mandare in pensione la gente dopo 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi, e per di più senza alcun limite di età.
Del costo di quelle scelte l’Italia ne paga le conseguenze ancora oggi, con una spesa che tutt’ora si aggira sui 2,4 miliardi di euro all’anno e nel tempo ha portato da un lato ad un continuo innalzamento dell’età pensionabile e dall’altro all’inasprimento del sistema di calcolo. Il culmine è arrivato nel 2011 con la famigerata riforma Fornero che stabilisce “urbi et orbi” il sistema contributivo pro-rata, allineando quanto si riceve di pensione ai contributi versati in precedenza.
Ma in un Paese come il nostro, dove il numero di pensionati supera di gran lunga quello dei neonati, e dove soprattutto le previsioni suonano come un campanello d’allarme alle giovani generazioni, che con un po’ di fortuna potrebbero andare in pensione a 70 anni, stupisce un po’ scoprire che siano pochi gli italiani disposti a pensare al futuro.
Lo racconta l’Osservatorio Moneyfarm, che dopo aver fatto i calcoli svela una verità inquietante: solo un italiano su 4 ha sottoscritto un fondo pensione. In pratica neanche i dati del 2023, che raccontano una sproporzione fatta da 379.339 neonati a fronte di 519.879 neopensionati, fanno scattare i sensori.
“In Italia si fanno meno figli, si inizia a lavorare più tardi in un mondo del lavoro più precario e si vive sempre più a lungo: una combinazione di fattori che minaccia il patto intergenerazionale su cui si fonda l’intero sistema previdenziale pubblico - racconta l’Osservatorio Moneyfarm – con una proiezione della spesa pensionistica nel giro di un quindicennio si stima possa essere compresa tra il 15 e il 17% del Pil. Ma degli oltre 24,2 milioni di cittadini nati tra il 1965 e il 1994, pari al 41% della popolazione italiana, quelli che hanno un fondo pensione sono solamente il 26%, mentre il restante 74% è occupato senza un fondo pensione oppure inoccupato”. Come se non bastasse, il 26% appena citato potrebbe essere rappresentato da contribuenti “silenti”, che malgrado siano iscritti non versano alcun tipo di contributo.
A questo si aggiunge lo scarso 22% che utilizza il Tfr per finanziare la previdenza integrativa, con la grande maggioranza che preferisce lasciarlo in azienda o nel Fondo di Tesoreria dell'Inps.
“Investire in una qualche forma di previdenza integrativa purtroppo non è una consuetudine degli italiani – interviene Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory - eppure pianificare la pensione significa pianificare oltre vent’anni di vita, un periodo non certo trascurabile in cui quella stragrande maggioranza di italiani che non si è ancora attivata potrebbe trovarsi costretta a contare solo su una pensione pubblica molto magra”.
A pagare il prezzo più alto, come sempre quando si parla di denari, sono le donne: tra i 30 e i 39 anni, il tasso di adesione alla previdenza integrativa crolla miseramente al 17% contro il 27% dei coetanei uomini. Il motivo, che ovviamente si riflette sulla pensione integrativa, non è soltanto una minor propensione ai fondi pensione (27% contro 33%), ma più che altro i 17 punti di tasso di occupazione che le separano dagli uomini della stessa età: il 63% per le donne contro l’83% degli uomini. E le cose peggiorano perfino aumentando l’età, con il divario che passa al 48% contro il 69% degli uomini arrivando alla fascia compresa tra 55 e 64 anni. Cifre e percentuali che tradotte in solido disegnano un quadro sconsolante: pur potendo beneficiare del requisito di pensione anticipata inferiore di un anno (41 anni e 10 mesi), spesso le donne non raggiungono la continuità lavorativa necessaria per accedere alla pensione per anzianità contributiva. E considerando che l’età media di pensionamento è destinata a salire dai 64,2 anni attuali, la situazione si fa ancora più critica per quante sono entrate da poco nel mondo del lavoro.
Per chiudere, chi ha sottoscritto qualche forma di previdenza integrativa, secondo le stime di Moneyfarm ha versato una media di 2.004 euro annui, con una cifra che oscilla tra i 1.700 euro delle trentenni e i 2.700 euro dei cinquantenni. “Considerando tale versamento medio fino a di 67 anni e un maturato medio stimabile in 20.250 euro, la rendita integrativa netta stimata che ci si può attendere da un fondo pensione bilanciato è di circa 295 euro al mese, con valori compresi tra i 231 euro delle cinquantenni e i 350 euro dei trentenni, fermo restando che la tempestività con cui si comincia a creare la propria pensione di scorta rappresenta una variabile chiave”.
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