22 giugno 2021

Gli Stati Uniti contro le Big Tech

Nel derby fra Washington e la Silicon Vallery si inizia a giocare duro: la Camera ha appena presentato cinque proposte di legge che, nel caso passassero, renderebbero molto più vulnerabili e controllabili i colossi del web. A questo si aggiunge Lina Khan, l’arma segreta di Biden

Autore: Redazione Fiscal Focus
Fra la presidenza Obama e quella Biden sono passati appena quattro anni e una manciata di mesi, un arco di tempo che sarebbe perfino ridicolo se in mezzo non avessero come simbolo il ciuffo arancionato di Donald Trump. Per le “Big Tech”, i giganti del web, si tratta di tre periodi storici ben diversi e distinti: la relativa tranquillità concessa da Barack, la battaglia personale di Donald e l’impellenza di Joe di risolvere la questione una volta per tutte mettendo un freno all’eccessivo potere monopolista conquistato da Google, Amazon, Apple e Facebook.

Un desiderio reso ancora più forte dopo l’ormai celebre attacco del 6 gennaio scorso a Capitol Hill dei seguaci del suo predecessore, armati come nei film di guerra e colpevoli di essersi organizzati proprio sui social, malgrado le promesse del tutto incapaci di intuire, controllare e arginare.

In quello stesso istante, secondo decine di sondaggi, milioni di americani hanno iniziato a dubitare dei signori della Silicon Valley, mettendo da parte un secondo scottante indizio dopo aver scoperto mesi prima che i loro dati personali, con tanto di foto dei compleanni e contatti di amici, valevano al kg più o meno come la carne da macello. Era il caso di “Cambridge Analityca”, nome e cognome di uno dei primi scandali scoppiati negli Stati Uniti dopo l’avvento di Trump alla Casa Bianca, con lungo strascico di indagini, accuse, interrogazioni, servizi segreti e qualche manetta volata qua e là.

Poi è arrivato Biden, che da vecchio politico navigato sa distinguere perfettamente i tasti da schiacciare da quelli che è meglio evitare. Joe ha fatto le sue mosse in silenzio, come un Draghi d’oltreoceano, piazzando d’ufficio Lina Khan alla presidenza della “Federal Trade Commission”, l’authority federale americana per la concorrenza. La signora, 32 anni, giurista di punta alla Columbia University, non ha mai negato di avere un sogno ricorrente: spezzettare i colossi del web per renderli inoffensivi prima che si sostituiscano al potere creando una società distopica.

Per darle una mano, pur lasciando a lei il compito di agire ufficialmente, la Camera ha appena presentato ben cinque progetti di legge figli di un’indagine parlamentare lunga 18 mesi sulle regole dell’antitrust, all’apparenza finite in disuso insieme ai tuoni e fulmini di Trump quando ha scoperto che il suo nome sarebbe stato ricordato dai posteri come uno dei pochi presidenti americani a non conquistare il secondo mandato. Cosa che era riuscita perfino a Bush figlio, il che la dice lunga.

Le cinque leggi, già presentate in passato ma sempre finite sugli scogli della battaglia fra Dem e Repubblicani, e per la prima volta accettate quasi tutte in modo bipartisan, gettano sale sulle ferite aperte delle Big Tech vietando nuove acquisizioni che possano danneggiare la concorrenza, o arrivando a prevedere lo smembramento di eventuali servizi che abbiano lo stesso fine e per finire spalancando le porte a controlli e non meglio precisati “interventi” in caso di sospetto monopolio.

Dalla Silicon Valley, dove ormai circola la certezza che i bei tempi siano andati, hanno tentato una controffensiva, mandando in avanti 13 organizzazioni che hanno il compito di spiegare al popolo americano che qualsiasi legge finirà con l’indebolire la potenza mondiale statunitense lasciando spazio agli odiati cinesi.

Basterà a convincere i politici di Capitol Hill? La battaglia non sarà semplice e neanche breve, ma una sola certezza c’è: qualsiasi cosa accada, le Big Tech non saranno più quelle di prima.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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