Chissà, forse un giorno ricorderemo questi anni non per le guerre inferocite, il clima impazzito e le economie imbizzarrite, ma per una conquista sociale un tempo impensabile: la “work-life balance”. Quella bilancia immaginaria che i lavoratori del terzo millennio ormai pretendono sia distribuita al milligrammo fra il lavoro e la vita privata.
Qualcuno ci riesce, altri decisamente meno: fra questi, racconta la ricerca “Conciliazione Vita-Lavoro e Gender Pay Gap”, svettano i Commercialisti, categoria che al contrario stravince nell’esercizio opposto: sbilanciare quanto più sia possibile i due piatti della bilancia. Dalla parte che pesa di più, neanche a dirlo, il lavoro e le quotidiane incombenze, scadenze & impazienze del fisco italiano. Dall’altro, giusto un anelito residuo di vita privata che spesso significa obbligarsi almeno a dormire nel letto di casa e non sul divano dello studio.
La ricerca è stata presentata nell’ambito del “Convegno dei Comitati Pari Opportunità” e realizzata dal Comitato nazionale pari opportunità dei commercialisti, a cui hanno preso parte i vertici della categoria, è stata anche un’occasione per tracciare un bilancio dell’attività svolta dal Comitato pari opportunità nazionale, che lo scorso marzo ha diffuso un vademecum contro la violenza economica e il bilancio di genere nazionale elaborato seguendo le linee guida emanate dal CNPO.
I risultati dello studio sono frutto dell’analisi dei risultati di un questionario sottoposto a 5.000 iscritti all’Albo professionale, e i risultati, come accennato, lasciano poco spazio, anzi, poco tempo alla fantasia, visto che per il 65% degli interpellati i commercialisti dedicano molto più delle canoniche otto ore lavorative alla professione, mentre il 66% ammette di poter riservate poco tempo alla vita privata, e la percentuale sale addirittura al 72% nel caso delle donne.
La scarsità di tempo libero a disposizione si fa ancora più pesante in presenza di una famiglia – eventualità oggi non così rara – un impegno per cui solo l’11,5% degli interpellati (il 74,2% delle donne), riesce a ritagliare una media di circa 5 ore al giorno, per finire in bellezza con il 52% del campione che lamenta la scarsità di servizi socioassistenziali presenti nella zona di residenza o del lavoro. Per fortuna, a fronte del silenzio delle istituzioni pubbliche, il 71,6% può contare sull’aiuto-supporto di altri familiari nella gestione degli impegni familiari.
E per non farsi mancare nulla in tema di mancanze, la ricerca ha scelto di testare il polso della categoria anche sull’ancor più scottante tema della discriminazione nella carriera professionale. Un problema che per un residuo 17,4% non esiste, a fronte di un 37% secondo cui esiste eccome, ma fatica ad emergere come dovrebbe. Un 23,4% è invece convinto che il problema si avverta con maggiore intensità agli inizi dell’attività professionale, contro un 22,2% certo che al contrario il gender gap diventi più evidente andando avanti nella carriera. Ma è chiaro a tutti, senza distinzioni, che al primo posto nella classifica delle discriminazioni svetti la maternità, a fronte di una maggiore tolleranza verso la paternità.
Tuttavia, dall’analisi approfondita del gender gap offerta dalla ricerca, emerge che le differenze sul reddito medio della categoria si concentrino su due punti nevralgici: il ruolo ricoperto all’interno dello studio, dove la prevalenza resta nettamente maschile, e sull’età, dettaglio che al contrario vede spesso la presenza di donne più giovani dei colleghi maschi. Per finire con un terzo punto: la specializzazione professionale, con gli uomini che tendenzialmente si tengono strette le attività con più alto valore aggiunto.