Digitando nella barra di ricerca di Google le parole “kit suicidio”, il primo risultato che compare, con caratteri ben evidenti, è: ‘Possiamo aiutarti- Parla con qualcuno oggi stesso’. Segue, appena sotto, l’indicazione di un numero verde che fa riferimento ad un‘associazione di volontariato il cui obiettivo, secondo quanto esplicitato nel proprio sito, è la prevenzione del suicidio.
D’istinto mi domando se l’immediatezza di siffatta indicazione preesistesse già o se, viceversa, si sia verificato un riordino della gerarchia delle risposte che l’ha posizionata in cima ai risultati della ricerca da quando recenti e drammatici casi di morti legate all’utilizzo di quell’estremo rimedio hanno catturato l’attenzione mediatica.
È così che, partendo da questa ricerca, ho voluto provare a calarmi nei panni di Antonella, la professoressa in pensione che al suo 63esimo compleanno ha scelto di non arrivarci decidendo, dopo un lungo riflettere, di utilizzare proprio quel kit acquistato online qualche anno prima per poche centinaia di euro. Spedizione inclusa.
La lucidità con cui quella donna è giunta a compiere il suo gesto risolutorio è ciò che sconvolge ancor più dell’epilogo stesso della sua vicenda. Con una chiarezza ed una determinazione disarmanti ha infatti scritto in una lettera, lasciata in bella vista nell’abitazione dov’è stato ritrovato il suo corpo senza vita, i motivi della sia decisione: «Molti anni fa ho cominciato a fare ricerche su internet per una morte pacifica. La vita a volte è ingiusta, così ora penso di aver diritto alla liberazione e alla pace. (…) Dopo 20 lunghi anni di dolore cronico, per insonnia, estrema solitudine, intolleranza ai rumori, mi sono procurata le cose necessarie online, ordinandole all’estero, più di un anno fa...» concludendo, infine: «Spero quando leggerete questa lettera di aver avuto successo...».
Quella di Antonella è stata una lunga storia di solitudine, di sofferenza interiore prima ancora che fisica, di abbandono ed isolamento, che la sua condizione di salute ha certamente aggravato ma non determinato.
La scelta di Antonella non è stata una scelta di disperazione, ma piuttosto di liberazione: dalla fissità di una male che divora l’anima più che il corpo; dall’angoscia di una condizione assunta per irreversibile ed alimentata da un convincimento sempre più radicato; dalle mancanze.
Perciò, più ancora che il contenuto del suo testo d’addio, a trafiggere la coscienza è l’indicazione del destinatario: ‘A chi mi troverà’. Non un nome, non un indirizzo specifico, non un preciso interlocutore, ma noi tutti, noi spettatori casuali e distratti d’un dramma che non siamo in grado di riconoscere neppure se si consuma oltre la porta accanto.
‘A chi mi troverà’ è la punta acuminata e velenosa di un messaggio invisibile, come invisibile è stata l’esistenza stessa di Antonella; una freccia di quelle che giungono a colpire il bersaglio quando la partita è già finita, scoperchiando la voragine dell’indifferenza quando nel suo abisso qualcuno è già precipitato.
Troppo tardi, sempre, maledettamente troppo tardi.
Eppure, di fronte a tanta evidente responsabilità, ecco ancora una volta azionarsi il meccanismo della ‘distrazione’, il consueto artifizio con cui, pur di scansare accuse e colpe, si prova a deviare l’attenzione su alte questioni, collegate certamente, ma non assorbenti.
Pure adesso l’asse dell’attenzione si è difatti spostato sulla polemica riguardo al riconoscimento del diritto all’eutanasia legale, come a dare per perentorio e scontato che nel caso di Antonella potesse essere l’unico rimedio ‘legale’ possibile, che le avrebbe evitato di procurarsi clandestinamente quanto le occorresse per morire.
È assurda tanta cecità, se così si vuole osare di definire ciò che invece è più verosimilmente l’ennesima dimostrazione di indifferenza, di incomprensione, se non addirittura di vigliaccheria da parte dei responsabili, di quei tanti che dovrebbero identificarsi con il destinatario delle ultime parole di una donna che chiedeva aiuto, a modo suo.
‘A chi mi troverà’.
Antonella ha scelto di morire perché non ha trovato altra soluzione al suo male di vivere; non c’è stata alcuna istituzione, alcun apparato, alcun intervento che abbiano intercettato il suo dolore e la sua solitudine, spalancandosi davanti alla sua disperazione e prospettandole, con la stessa immediatezza del risultato d’una ricerca in rete, un elementare ‘kit di sopravvivenza’: ‘Possiamo aiutarti’.