La pandemia, sempre lei, ce la ricorderemo a lungo. Oltre a sconquassare le economie di mezzo mondo, gettando nella disperazione intere categorie e mettendo a rischio milioni di posti di lavoro, ha creato un solco che difficilmente sarà cancellato, almeno fino alle nuove teorie di qualche esperto, magari fra una manciata di anni.
Il lavoro, dopo l’epoca delle mascherine e delle gomitate in segno di saluto, si fa sempre più liquido, malleabile e plasmabile, come i materassi che assecondano la forma del corpo. Nel giro di pochi mesi sembra finita per sempre l’epopea del badge o della famigerata “cartolina” da timbrare in entrata e in uscita: oggi il lavoro è una dose di marmellata che va spalmata su due fette, la propria e quella dell’azienda.
È indubbio che lo smart working abbia mostrato una strada che, a conti fatti, conviene a tutti, ma soprattutto a chi il lavoro lo offre: fare a meno di uffici, fotocopiatrici, energia elettrica, cancelleria, aria condizionata e quant’altro distingua un lavoro da una forma di moderna schiavitù, si è trasformato in un’occasione di risparmio fenomenale, a cui quasi nessuno vuole più rinunciare.
Ma è anche vero che chiudere il mondo che lavora in un appartamento finisce con l’impoverire l’azienda stessa, oltre a mandare fuori di testa i dipendenti. Così, la soluzione verso cui puntano i colossi, e che facilmente farà scuola in tutto il mondo, è un ibrido, parola che fra l’altro va tanto di moda: tre giorni di presenza in ufficio e due a casa.
È la soluzione che Sundar Pichai, gran capo di “Google” e “Alphabet” ha proposto ai propri dipendenti già lo scorso dicembre, seguito a ruota da altri titani come “Apple”, “Microsoft” e “PepsiCo”.
Poi, certo, ognuno trova soluzioni personalizzate diverse dagli altri. Google, ad esempio, avrebbe dato il totale via libera alle domande di trasferimento dei dipendenti, ma a patto che lo stipendio sia ricalcolato in base alla destinazione. Per capirci: una sede dell’azienda situata in una zona non particolarmente elegante e residenziale significa vedersi tagliare una parte del compenso, perché per vivere serviranno meno soldi. Al contrario, se la scelta è verso destinazioni dove il coso della vita è decisamente più costoso, l’azienda è pronta a rivalutare lo stipendio secondo precisi parametri. Lo strumento, messo a disposizione dei dipendenti, si chiama “Work Location Tool”, e permette di fare i propri calcoli prima di far passare al protocollo la domanda di trasferimento.
Poi c’è la PepsiCo, multinazionale di bevande e snack con 290mila dipendenti, che l’ha pensata in modo diverso, lasciando a tutti la possibilità di decidere quando preferiscono essere presenti in ufficio e quando lavorare da casa. Una politica aziendale che, si affrettano a precisare dalla sede centrale di Purchase, esisteva già prima, ma è stata resa ancora più flessibile e soprattutto senza limiti.