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Il paradosso afghano

Autore: Ester Annetta
20 anni di occupazione da parte di USA e forze Nato; miliardi di euro (anche italiani) e di dollari spesi; 241.000 vittime tra civili e militari; 5 milioni di sfollati: è questo il bilancio che lascia il ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan, tornato così nuovamente nelle mani dei talebani.

Di fronte a questo risultato, che potrebbe quasi definirsi grottesco, mi torna in mente il celebre paradosso di Tancredi ne Il Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”

E a confermarlo non sono solo i numeri appena citati, ma anche altri ancora più sconvolgenti: dal 2001 ad oggi, infatti, in Afghanistan la speranza di vita è diminuita di due anni; la percentuale di coloro che vanno a scuola è scesa del 22% e, almeno nei primi dieci anni, è cresciuto il numero delle persone sotto la soglia della povertà e quello della mortalità infantile. Inoltre, la “crociata di liberazione” delle donne afghane propugnata da tutti gli eserciti scesi in campo non ha affatto impedito che esse continuassero a subire violenze, stupri, matrimoni forzati e precoci, né la loro mancanza di istruzione (l’87% delle donne è analfabeta) e di tutela sanitaria.

Viene allora lecitamente da domandarsi a cosa siano serviti questi venti anni di una guerra che, sotto le mentite spoglie di “intervento di pace”, avrebbe dovuto permettere, alle donne, di andare a scuola e all’università e di togliersi il burka e, a tutti, di sperimentare le virtù della democrazia e dei diritti umani.

L’intervento in Afghanistan si è mosso difatti - secondo le intenzioni dichiarate - sotto l’egida della democrazia, quel bene prezioso che da sempre le benefattrici potenze occidentali ostentano di voler esportare tra le civiltà e le culture inferiori, insieme allo sviluppo, al rispetto ed alla libertà. È la formula che legittima azioni comunque violente, armi, sopraffazioni, giustificate così come “guerre umanitarie”, un ossimoro, un’evidente contraddizione in termini che tradisce, viceversa, un’innegabile verità: la guerra è sempre “contro” non “a favore” dell’umanità!

L’intervento in Afghanistan avrebbe dovuto debellare il terrorismo, e invece l’ISIS è tutt’altro che annientata; avrebbe dovuto portare la democrazia e i diritti umani, ma i fatti hanno dimostrato ben altra realtà; avrebbe dovuto stabilizzare la regione, e invece anche i dissidi interni sono proseguiti.

Allora c’è forse da dar ragione a quanto da anni sostengono i pacifisti e cioè che le guerre sono sempre fatte per interessi economici e strategici; sono guerre di potere; affari, per i produttori di armi. Il tutto a discapito della popolazione civile che ne subisce solo le tragiche conseguenze.

Perché, altrimenti, anziché “tuffarsi” nelle guerre altrui non si mettono in campo politiche di prevenzione dei conflitti? Perché non si ricorre a strumenti positivi e non d’offesa (celata da difesa), riconoscendo alle Nazioni Unite quella libertà di azione che pare invece sempre zavorrata dal dominio delle grandi potenze?

L’Afghanistan, non a caso, è un paese di importanza geostrategica fondamentale nel quadro asiatico e mediorientale e, ugualmente non a caso, Inghilterra prima, Unione Sovietica poi e infine USA le “hanno messo gli occhi addosso”, dando viceversa ad intendere la storiella della “trasfusione di democrazia” cui, in fondo, non ha mai creduto nessuno.

Ce l’ha insegnato Gino Strada (che di quella terra ha vissuto tutto l’orrore), ce l’ha lasciata in eredità la necessità di disconoscere la guerra, di condannarla senza mezzi termini: la guerra non ha condizioni di ammissibilità, è un crimine, una violazione del diritto umanitario internazionale che non risolve affatto i problemi, ma comporta solo sofferenza, dolore, morte. E quello cui abbiamo assistito in queste settimane è esattamente la dimostrazione del fallimento della guerra, prima ancora - e più specificamente – che dell’intervento militare in Afghanistan.

Bisognerebbe avere il coraggio di ammetterlo, di affermare la realtà, deponendo quell’ipocrisia di cui, in un bellissimo scritto, Paolo Cacciari ha accusato i protagonisti di questa pretesa “guerra umanitaria”: “Guerrafondai impenitenti. Voi tutti che avete riempito pagine di giornali e schermi delle tv per giustificare le guerre “giuste”, i bombardamenti “mirati”, le invasioni “liberatrici”, tra cui l’operazione “Enduring Freedom”, potreste, almeno in questo momento, avere il pudore di risparmiarci questo spettacolo indecoroso di ipocrisia per le sorti delle donne afghane? Voi governi della Nato che avete usato in Afghanistan tanti (nostri) denari per armi (due trilioni di dollari) quanti nella seconda guerra mondiale (…) continuate a stanziare le stesse cifre per altri vent’anni, ma questa volta non per armi, ma per migliorare le condizioni di vita delle persone affidandoli non a militari, ma alle organizzazioni non governative internazionali (…). Voi che avete approvato ogni anno per vent’anni i crediti di guerra per finanziare l’invasione dell’Afghanistan non vi viene in mente, neppure ora di fronte a un così evidente, clamoroso e vergognoso fallimento della missione militare, che la strategia della vendetta e dell’”occhio per occhio” rende il mondo cieco (Gandhi), non più pacifico e tantomeno più giusto? Non vi accorgete che le guerre non risolvono, ma aggravano e incancreniscono i problemi di convivenza tra i popoli e di rispetto dei diritti umani?(…) Voi che avete ammantato le vostre brame di dominazione su tutte le terre e le risorse del pianeta con la promessa di portare benessere e libertà ai popoli, potreste per una volta prendere atto con modestia e realismo del vostro fallimento?”

E bisognerebbe altresì conservare memoria di questa tragedia di cui noi tutti, oggi, ci ergiamo a giudici, proponendoci altresì come paladini (ma solo a chiacchiere, perché i fatti poi dimostrano che l’accoglienza reale è un’altra cosa…) degli esiliati e degli oppressi, per evitare che, una volta spentosi il clamore mediatico che ora punta i riflettori sull’Afghanistan, cali di nuovo il silenzio - come dopo la sconfitta dell’URSS o durante il passato regime dei talebani – sulla vergogna di questi venti anni di missioni militari che anche tutti i colori avvicendatisi al nostro governo hanno assecondato.

Non contiamo nulla; a nessuno importa di noi. Spariremo dalla storia”: così una ragazza in lacrime, in un video circolato in questi giorni e divenuto subito virale profetizza la condizione delle donne afghane, i cui volti sono stati persino cancellati dai manifesti pubblicitari, a simboleggiarne l’annientamento.

Non diamole ragione; la nostra coscienza esige di non renderci complici dell’avverarsi d’una tale premonizione.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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