21 luglio 2021

Il potenziale economico della “Dolce Vita”

Così un rapporto del Centro Studi Confindustria ha ridefinito l’export di qualità, un concetto che racchiude le straordinarie peculiarità di stile, eleganza e saggezza artigianale italiana che nell’export diventano una carta vincente. A patto di saperla giocare

Autore: Antonio Gigliotti
Noi italiani esportiamo “Dolce Vita”: non significa solo eccellenze industriali e artigianali nella moda, nel food e nei motori, ma un concetto ben più esteso e raffinato di piaceri e senso estetico che sta a pennello ovunque.

È questo, il succo di “Esportare la Dolce Vita. Bello e Ben Fatto: il potenziale del Made in Italy nel panorama internazionale che cambia”, un rapporto realizzato dal Centro Studi Confindustria con la collaborazione di Unicredit, Sace, Netcomm e Fondazione Manlio Nasi, che attualmente significa un potenziale economico da 135 miliardi di euro, ma dalle potenzialità stimate in 217 miliardi, ben 82 in più di quanto il “Made in Italy” oggi riesca a raccogliere.

“La facilità di riconoscere l’italianità di un prodotto e di apprezzarla si è affermata nel tempo in tutto il mondo, motivo per cui i consumatori sono disposti a riconoscere un valore superiore a un bene ‘made in Italy’ e a pagare di più per averlo. Il BBF (Bello e Ben Fatto) e i suoi tratti distintivi sono la bandiera dell’italianità nel mondo: racchiude in sé tutti quei beni che rappresentano l’eccellenza italiana in termini di design, cura dei dettagli, qualità dei materiali e delle lavorazioni. In questo senso il “bello e ben fatto”, oltre a rappresentare una quota importante dell’export italiano nel mondo, fa da volano a tutte le esportazioni, avendo un valore non solo economico, ma anche immateriale”.

Certo, sottolinea il rapporto, per arrivare all’obiettivo servono strategie e un “sistema Paese” che funzioni per davvero, immerso in un mercato europeo che sappia fare la propria parte. Fondamentale, dice il rapporto, è il consolidamento dei rapporti con l’immenso bacino degli Stati Uniti, sfilacciato da Trump a suon di dazi e dispetti, ma anche incentivare Bruxelles sverso l’e-commerce i rapporti di libero scambio, supportare le pmi creando marchi riconoscibili e favorendo la nascita di consorzi, e per finire affilare le armi contro la piaga della contraffazione, che toglie ossigeno alle aziende italiane.

A mostrare più possibilità è quello che il report definisce il “3F” del “bello e ben fatto”: Fashion, Food e Furniture. Settori che possono valere 62 miliardi di dollari in più nei paesi dove l’italian style è già consolidato, e almeno altri 20 in quelli emergenti, dove i mercati sono ancora da conquistare. Nell’elenco dei primi, gli Stati Uniti rappresentano un potenziale da 15,5 miliardi di export in più, con altri 13,7 da suddividere fra Germania, Francia e Regno Unito, e ancora 5,6 miliardi fra Paesi Arabi e Russia. Discorso a parte per l’Asia, con Corea del Sud e Giappone (3,3 miliardi in più di potenziale), ma soprattutto la Cina, mercato immenso da considerare un competitor fra i più agguerriti, comunque in grado di aggiungere altri 3,9 miliardi all’export italiano.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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