10 dicembre 2022
10 dicembre 2022

Il potere della lingua morta

Autore: Ester Annetta
È senza dubbio una delle canzoni più famose di Vasco Rossi.

Doppiandola mentre passa in radio o a squarciagola ad un suo concerto e persino sotto la doccia, “Albachiara” l’abbiamo cantata tutti, ed è certamente tra i brani più noti tra i vecchi e nuovi fans del “komandante”.

E lo è a tal punto che due insegnanti di un liceo classico di Gela hanno pensato di impiegarla come strumento veicolare per lo studio di una lingua che centinaia di anni fa, al tempo dell’impero romano, è stata a sua volta impiegata con lo stesso scopo, per comunicare con i popoli conquistati, fornendo la base per la nascita di altri idiomi – tuttora parlati - da essa derivati.

Con un lavoro certosino, rispettoso della sua metrica e della sua musicalità, “Albachiara” è stata dunque tradotta in latino e cantata da un alunno – accompagnato al piano da un compagno – alla festa del primo giorno di scuola.

“Respiras lente ne rumorem facias/sopiris vesperi et surgis in sole” è l’incipit del brano, apprezzato dallo stesso Vasco che, attraverso i suoi seguitissimi social, si è complimentato per l’iniziativa, condividendo il video dell’originalissima interpretazione in latino della sua canzone.

Le due insegnanti autrici dell’esperimento l’hanno commentato mettendo in risalto la funzione della musica come mezzo per trasmettere valori che, nel caso di “Albachiara”, risiedono tanto nella lingua impiegata, vista come espediente per creare una relazione - intelligente e stimolante – con il mondo classico, invogliando i ragazzi ad avvicinarsi ad esso con più interesse e curiosità e ad apprezzarlo; quanto in quell’inno alla semplicità che il contenuto stesso della canzone rappresenta, laddove fornisce l’immagine di una gioventù pura e delicata, un modello molto distante dalle caratteristiche dei giovani d’oggi.

Insomma, un recupero a tutto tondo di strumenti e schemi non più attuali – morti, come si direbbe con riferimento al latino nella comune accezione di lingua ormai estinta – e tuttavia ancora incredibilmente capaci di attendere a funzioni educative importanti.

Mi vengono allora in mente altri richiami al valore del latino che – lungi dal potersi considerare ormai desueto e defunto (sopravvive difatti, oltre che nelle etimologie, anche in diversi dialetti che conservano lemmi ed espressioni da esso direttamente discendenti) – continua ad essere tuttora espressione elevata di cultura quand’è usato non in maniera pedantesca e volutamente incomprensibile ma come strumento per recuperare un patrimonio di saperi e pensieri ancora mutuabili nel contesto attuale.

Dunque, non quel “latinorum” che tanto metteva in imbarazzo Renzo al cospetto di Don Abbondio, uno sfoggio di conoscenza impiegato per sfruttare una certa superiorità culturale, a discapito d’una plebe ignorante che tutto accetta perché non è in grado di confutare. Piuttosto quel latino il cui declino il grande scrittore e giornalista Giovannino Guareschi accostò inesorabilmente a quello della classe politica, in un celebre articolo scritto negli anni ’60, in tempi di latino obbligatorio e politica concreta.

A fronte di quelle affermazioni ricorrenti che, dietro la spinta di una contemporaneità che reclama praticità, delegittimano l’uso del latino ritenendolo un’inutile perdita di tempo dacché ormai finito, il pensiero di Guareschi appare tuttora di grande attualità: “Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l'era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un'ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino.”

Guareschi è vissuto nell'epoca dei grandi statisti - De Gasperi, Einaudi, Togliatti - ed aveva evidentemente intuito che la qualità della classe politica sarebbe andata peggiorando negli anni successivi, contestualmente all'abbandono dello studio della lingua latina.

Una profezia, la sua, che oggi come non mai – di fronte al livello di alcuni esponenti della nostra politica - pare essersi avverata.

Del resto, se si pensa che su certe “caratteristiche”, tipiche soprattutto della politica più casereccia, Guareschi ha costruito i personaggi di Don Camillo e Peppone, va da sé che evidentemente ci aveva visto lungo!
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy