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Iperboli

Autore: Ester Annetta
Ipèrbole, s. f. [dal lat. hyperbŏle, gr. ὑπερβολή, da ὑπερβάλλω «gettare oltre»]. è una figura retorica che consiste nell'esagerare la descrizione della realtà tramite espressioni che l'amplifichino, per eccesso (è un secolo che aspetto!) o per difetto (berrei volentieri un goccio di vino).

Mi è venuto in mente questo lemma, nei giorni scorsi, nel leggere alcune notizie che – al di là dei contenuti informativi o di cronaca riportati – mi sono sembrate dimostrative della necessità, sempre più richiesta, di una coerenza – o, forse, di una rigidità - lessicale che, se tradita, rischia di avere conseguenze davvero abnormi.

L’eccesso sta proprio nella labilità del confine tra ciò che, di per se’, le azioni e le parole significano e la portata sovradimensionata che - per tendenza, moralismo spropositato o censura ideologica - viene ad esse attribuita, al punto che finiscono per subirne l’etichettatura anche situazioni di significato più modesto.

Sull’argomento mi sono già soffermata in altra occasione (cfr.: Est modus in rebus su Fiscal Focus del 19 giugno 2021), proprio con l’intento di evidenziare quanto, in nome di quel principio – dappertutto imperante - del “politicamente corretto”, le espressioni linguistiche siano diventate ormai pericolosissime, sì da imporsi la massima ponderazione ogni qual volta voglia veicolarsi un pensiero o un’idea.

Due sono state le notizie che hanno nuovamente sollecitato questa riflessione:
una – apparentemente curiosa per non dire banale – si riferisce al nome scelto per classificare la nuova variante del virus Sars Cov-2. Chiarito una volta per tutte che sono da bandire nomenclature territoriali, che possono apparire discriminanti nei confronti delle etnie che abitano i luoghi di provenienza dei nuovi ceppi, si è passati all’impiego delle lettere dell’alfabeto greco (che da “sigma” a “pi greco” sono peraltro già legittimate dalla matematica, grazie alla paternità di alcune teorie dimostrate dai matematici ellenistici di diversi secoli orsono). E fin qui nulla quaestio, salvo l’eventuale necessità – per coerenza - di rivedere ex post anche la nomenclatura della famigerata epidemia Spagnola d’inizio secolo scorso!

Ciò che però valica il limite dell’opportunità trasformandosi in estremismo è la spropositata “premura” che ha imposto di denominare “omicron” la nuova variante Sudafricana del virus. Da quanto ho letto, l’OMS avrebbe scelto di saltare le due lettere che, nell’alfabeto greco, precedono la omicron – la ν e la ξ – per una questione di suono, che sarebbe potuto risultare equivoco (nel caso della ν) o offensivo (nel caso della ξ). Sorvolando sull’interrogativo preliminare di dove siano finite tutte le altre lettere da gamma (che identifica la variante brasiliana) in poi (ci sono forse altre varianti “minimali” che non sono risultate degne di nota?), è stata scartata la ν – che, pare, andrebbe pronunciata “nu” (e confesso che la cosa mi giunge nuova, poiché, dai tempi del liceo, ricordo perfettamente che la pronuncia, nell’alfabeto greco antico, fosse “ni”) – perché nei paesi anglosassoni rischierebbe di confondersi con “new”, evocando perciò lo spettro di un virus totalmente “nuovo” ed estraneo rispetto a quello noto – varianti comprese – con ciò fornendo, da un lato, terreno fertile ad accuse e polemiche di complottisti e no vax e alimentando, dall’altro, la paura di chi ha radicalmente cambiato il proprio modello di vita, condizionato all’inverosimile dal timore del contagio.

A sua volta la ξ – che si pronuncia “xi” – avrebbe attentato al nome - ed anche alla sensibilità ed all’onorabilità, evidentemente - del Presidente cinese Xi Jimping, potendo tra l’altro sembrare allusiva riguardo alla teoria per cui il virus sarebbe stato creato in laboratorio dai cinesi.

L’altra notizia – che presenta aspetti di maggiore delicatezza – si riferisce alla vicenda della giornalista Greta Beccaglia, molestata da un tifoso all’uscita dello stadio dove si era disputato l’incontro Empoli-Fiorentina, lo scorso 28 novembre. La pacca sul sedere che lo sprovveduto ha dato alla Beccaglia mentre era in diretta per raccogliere le impressioni dei tifosi a fine partita è stata prontamente riqualificata come violenza sessuale, anche sulla scia dei più recenti orientamenti della Cassazione (cfr. Occhio alle pacche su Fiscal Focus del 30 gennaio 2021. Per la Suprema Corte "la condotta vietata dall'art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell'agente, purché questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria". Pertanto, che si tratti di palpeggiamenti o schiaffi sui glutei della vittima, "l'eventuale finalità ingiuriosa dell'agente non esclude la natura sessuale della condotta", considerandosi, tra l’altro, che "nella nozione di atti sessuali non sono ricompresi solo quelli indirizzati alla sfera genitale ma anche tutti quelli idonei a ledere la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale della persona offesa, quali palpeggiamenti, o in genere, toccamenti, bacio, strofinamento delle parti intime" - Cass. n. 31737/2020).

L’iperbole in questo caso è addirittura doppia, potendosi riscontrare sia nell’impressionante clamore mediatico suscitato dalla vicenda, cui ha senz’altro giovato anche la sua collocazione temporale (a due giorni dalle celebrazioni del 25 novembre contro la violenza alle donne) sia nella gogna che è stata inflitta a Giorgio Micheletti - il giornalista che dallo studio corrispondeva con la Beccaglia - reo di essersi associato alla condotta sessista del palpeggiatore per aver semplicemente tentato di rassicurare la collega con un, forse maldestro, “dai non te la prendere”. Sicché l’Ordine dei giornalisti della Toscana lo ha invitato – con quel tempismo che sa di piaggeria ed il consueto, diplomatico, eufemismo – a prendersi “una pausa di riflessione” dalla conduzione della sua trasmissione.

Se mi è concesso, da iperbole a ipocrisia penso che il salto sia breve.

Ma ci crediamo davvero quando accettiamo certe prese di posizione o, peggio, le assecondiamo? Non ci rendiamo forse a nostra volta complici di una esagerazione – falsa e ruffiana – dettata del compiacimento? Dove vanno a finire l’autodeterminazione e, soprattutto, l’obiettività?

Il supposto “equivoco alfabetico” relativo alla nomenclatura della nuova variante Covid si sarebbe forse potuto evitare semplicemente usando il grafema - ν e ξ – in luogo della dicitura corrispondente alla pronuncia.

Così come pure, se la frase di Micheletti non fosse stata estrapolata dal resto delle sue affermazioni esternate in prosieguo di collegamento (dove, a difesa della Beccaglia, c’è andato giù pesante sul quoziente intellettivo dei tifosi, sulla loro maleducazione e sulla mancanza di sani schiaffoni che, se ricevuti da piccoli, avrebbero potuto contribuire ad una crescita migliore), la necessità di condannarlo come e forse più del molestatore sarebbe stata più adeguatamente valutata.

Anzi, pur non disconoscendo la gravità dell’accaduto, anche l’eventualità di un ridimensionamento dell’ipotizzato reato del tifoso andrebbe considerata.
Ma forse tutto ciò è il prezzo da pagare per consentire un protagonismo che duri un po’ di più del canonico quarto d’ora di notorietà spettante ad ogni essere umano (come pare abbia detto Andy Warhol) e che benefici di un’ospitata in qualche talk show e di un diluvio di posticci commenti social.

Intanto, altrove, denunce e richieste di aiuto di donne che sollecitano attenzione ed interventi per altre violenze - fatte di percosse, minacce e persecuzioni varie - restano inevase, abbandonate in trascurati fascicoli impilati su polverose scrivanie, di cui ci si ricorderà solo dopo che un estremo ed irreversibile atto avrà silenziato per sempre la loro paura e il loro grido di dolore.
Ma questa forse è un’altra storia.

Postilla: leggo in queste ore che la Commissione Europea ha redatto le linee guida “per una corretta comunicazione” (poi ritirate), evidenziando l’inopportunità, tra l’altro, dell’uso di espressioni che possano urtare la sensibilità di qualcuno durante le festività natalizie - es.: l’augurio di Buon Natale -, perché dall'altra parte potrebbe esserci una persona che non è di fede cristiana.
Follia anche solo averlo pensato.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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