Secondo i dati sulle dichiarazioni dei redditi 2023 diffusi dal Dipartimento delle Finanze, lo scorso anno l’Irpef è cresciuta dell’1,9% rispetto al 2022, malgrado la riduzione delle aliquote da cinque a quattro fortemente voluta dal governo Meloni. Un sistema progressivo creato per garantire una maggiore equità fiscale, poiché chi percepisce redditi più alti è giustamente chiamato a contribuire con una quota maggiore rispetto a quanti hanno redditi più bassi.
In media, l’Irpef è costato ad ogni cittadino italiano 5.380 euro, se non fosse per il dettaglio che la tassa è dichiarata da 32,4 milioni di italiani, ovvero il 77% dei contribuenti. Per dirla in modo ancora più chiaro, tutto è carico di una ristretta minoranza.
Ma vista con gli occhi dell’Erario, che ha messo al caldo 174,2 miliardi grazie ad un aumento che è conseguenza dell’aumento del Pil, con minor ricorso agli ammortizzatori sociali, si tratta di una bella notizia.
A crescere sono le detrazioni, attestate su 80 miliardi euro circa, ovvero l’8,2% in più rispetto al 2021, con 37,3 miliardi di deduzioni (+8,6%). Ma il dato più interessante va letto fra le righe, dove si annidano l’83% dei redditi dichiarati da lavoratori dipendenti e pensionati: i contribuenti con redditi fino a 35 mila euro (l’80%) dichiarano il 37% dell’imposta netta totale, il che equivale a dire che il 63% del carico fiscale pesa sulle spalle dei contribuenti con redditi superiori ai 35 mila euro (20%), mentre coloro che possono contare sull’imposta “netta diversa da zero e un reddito complessivo maggiore di 300 mila euro (lo 0,2%) dichiarano il 7,8% dell’imposta netta totale (nel 2021 era il 6,7%)”. La cifra complessiva dichiarata ammonta a oltre 970,2 miliardi di euro, il 6,3% in più rispetto al 2022, per un valore medio di 23.650 euro, +4,9% sull’anno precedente.
Al contrario, sono 12,5 milioni coloro che non versano alcun tipo di imposta, ma nel dato rientrano ovviamente coloro che hanno diritto all’azzeramento dell’imposta per via delle detrazioni e quanti compensano la spesa con il “trattamento integrativo”, ovvero il bonus 80 euro rimasuglio del governo Renzi.
La fotografia che emerge è quella di un Paese – come sempre – diviso nettamente in due. Mediamente, sono gli uomini a pagare di più, per via dei ben noti effetti del gender gap: a fronte di un reddito medio maschile pari a 26.900 euro, quello femminile si assesta su 18.300, con una diminuzione in termini reali del 3,2% per gli uomini e del 3% per le donne rispetto al 2021. A livello anagrafico, al di sotto dei 24 anni di età il reddito medio imponibile è in media 7.300 euro, e sfiora i 20mila tra 25 e 44 anni, arrivando a 27.200 nella soglia compresa tra 45 e 64 anni. Le zone d’Italia dove si concentrano i redditi medio più alti vedono il Nord-Est in pole position, con una media di 25.700 euro, seguito da 24.200 nel Nord-Est, 23.600 al Centro e 18.500 al Sud. Scendendo nel dettaglio, è la Lombardia la regione d’Italia dove il reddito medio è maggiore (26.900 euro), contro il dato più basso d’Italia che spetta alla Calabria, con 18.900 euro.
Nei singoli comuni, la situazione risulta perfino più variegata: Portofino, l’esclusiva località del Levante ligure, su circa 359 abitanti ufficiali vanta 281 persone che dichiarano un reddito medio poco più alto di 97mila euro annui, guadagnandosi il primo posto assoluto nella classifica dei comuni più ricchi d’Italia. Segue Lajatico, in provincia di Pisa, paese dove 965 contribuenti dichiarano in media 56mila euro annui, mentre la terza piazza va diritto a Basiglio, nell’hinterland milanese, con 53mila euro pro capite.
Al fondo della classifica, conquista il titolo di Comune più “povero” d’Italia Carvagna, piccolo centro del comasco in cui 87 residenti su 172 hanno presentato i modelli fiscali, con un reddito medio che non supera i 7.402 euro.