Di tanto in tanto il mio figlio maggiore si autoinvita a cena; è una sorta di rituale che, da quando è andato a vivere da solo, offre ad entrambi l’occasione di ritrovarsi, dialogare, confrontarsi su argomenti di vario genere.
È accaduto così che, un paio di sere fa, di fronte al suo altrettanto rituale piatto di spaghetti con le vongole, mi ha chiesto: “che effetto ti ha fatto la scomparsa di Berlusconi?”
Con assoluta naturalezza, riferendo il mio reale sentire, ho risposto che lasciando da parte il tratto ideologico in cui di certo non mi identifico, non potevo disconoscere il valore e il peso delle sue imprese; ciononostante ritenevo eccessiva la proclamazione del lutto nazionale che, prima di lui, sarebbe altrimenti spettata a molti altri personaggi. Mi è venuto da citare, in proposito, i giudici Falcone e Borsellino, ma l’elenco avrebbe potuto essere anche più lungo.
Neppure mio figlio – che nel corso del suo percorso universitario di politica ne ha macinata parecchia – si rispecchia nelle ideologie del ‘versante di destra’; tuttavia sa mantenersi nella giusta, oggettiva, prospettiva di valutazione quando occorre. Perciò ha replicato immediatamente che, pur essendo a sua volta in disaccordo, in questo specifico frangente, con la proclamazione del lutto nazionale, esso vada considerato come un onore da tributare a chi, con le sue azioni, è stato in grado di realizzare un effettivo cambiamento più che a chi era sulla strada per riuscirci ma non ha fatto in tempo, suo malgrado.
Ha quindi spiegato che ai giudici uccisi dalla mafia non è stato concesso di portare a termine le conseguenze di quanto avevano scoperto e che, di fatto, nonostante il loro sacrificio, nulla è infine cambiato, all’uso gattopardiano. Viceversa, il Cavaliere è stato capace di trasformare tutto ciò che ha toccato, a partire dalla tv fino allo sport.
Ha aggiunto di essersi reso conto delle sue straordinarie capacità di comunicatore proprio quando ha deciso che avrebbe voluto lavorare nel mondo della comunicazione e si è perciò trovato a “studiarlo”. “Non mi interessa il politico” – ha detto – “ma il suo grande genio comunicativo. Innegabile. Perciò ho davvero e inaspettatamente accusato la sua scomparsa”. Poi ha concluso: “Dopotutto, io sono nato con Berlusconi e la sua presenza mi ha accompagnato per tutti i miei 26 anni!”
Sinora non avevo voluto scrivere alcunché sull’argomento, ritenendo davvero eccessiva e ridondante quella sorta di ‘santificazione’ che ovunque e per giorni (con echi ancora non sopiti), dopo la morte di Berlusconi, ha letteralmente monopolizzato ogni canale di divulgazione.
Ma ho ritenuto che fosse giusto riportare anche questa visione giovane e apolitica che, credo, ricalchi il sentire delle nuove generazioni cresciute in un contesto dove la potenza della comunicazione (che è cosa ben diversa dalla propaganda!) è molto più presente ed efficace di quanto non lo sia stata ‘ai nostri tempi’. Il Cavaliere aveva evidentemente intuito la forza di questo strumento e l’ha impiegato in maniera superba, finendo per diventare un esempio ed un’ispirazione per quei giovani che, come mio figlio, incarnano l’Era dell’Iperconnessione.
E mi è sembrata una curiosa coincidenza che questa conversazione sia avvenuta esattamente il giorno prima dell’inizio dell’esame di Stato che (invece non a caso, probabilmente) tra le tracce della prova di italiano ha incluso una riflessione ripresa da "Intervista con la storia" di Oriana Fallaci: “La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta? È un vecchio dilemma, lo so, che nessuno ha risolto e nessuno risolverà mai.”
Quando finalmente si deciderà di aggiornare vetusti libri di storia e modelli di economia, è verosimile che alla trentennale parentesi berlusconiana verrà dedicata qualche pagina. Non soltanto politica.
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