26 novembre 2024

L’ultima battaglia dei buoni pasto

Un emendamento al DDL Concorrenza chiede che la commissione al 5% valga come regola generale: oggi lo è solo per le commissioni sui ticket emessi dalla PA., mentre per tutti gli altri sale al 20%

Autore: Germano Longo
All’inizio si definivano “Buoni pasto” proprio perché originariamente affiancavano o sostituivano la mensa aziendale.

Poi, un po’ come negli anni Settanta era successo con i gettoni telefonici, sono diventati una sorta di moneta corrente, allargando il loro campo d’azione verso gastronomie, negozi e supermercati.

L’idea dei ticket che equivale al pranzo l’aveva avuta nel 1954 John R. Hack, un uomo d’affari inglese che in un pub aveva visto i dipendenti di un’azienda poco distante pagare il pasto con dei misteriosi foglietti di carta. Un anno dopo sarebbe nata la “Lucheon Vouchers Lts”, destinata nel giro di qualche decennio a diventare la “Accor Services”.

Negli anni Sessanta fra i primi a crederci sono i francesi, quando la “Ticket Restaurant” è protagonista di una diffusione capillare in tutto il Paese, mentre in Italia bisogna attendere il decennio successivo, dove però lo sviluppo è molto più lento. Oggi i buoni pasto sono utilizzati dal 40% degli 11 milioni di italiani che pranzano fuori casa ogni giorno, e oltre a muovere 4 miliardi di euro all’anno rappresentano “uno dei capisaldi del welfare aziendale”, come afferma un recente studio dell’Università Cattolica di Milano.

Nel 2010, il 70% dei buoni pasto era utilizzato per consumare pasti presso ristoranti e bar, ed il residuo 30% per l’acquisto di generi alimentari. Lo scorso anno, la proporzione si è quasi ribaltata: il 55% dei buoni viene utilizzato nella ristorazione e il 45% nei negozi alimentari.

Ma l’universo dei ticket, ormai cementato nelle abitudini degli italiani, sta forse per vivere uno dei momenti più difficili della propria esistenza: un emendamento al DDL Concorrenza propone di mettere un tetto al 5% che valga per tutti delle commissioni che le aziende emittenti applicano ai negozianti.

La battaglia è di quelle epiche, e riguarda soprattutto la “GDO” (Grande Distribuzione Organizzata), le catene dei supermercati, costrette a pagare commissioni sui ticket che raggiungono spesso il 20%, a fronte di un tetto massimo per gli enti pubblici che invece non supera il 5%. In pratica, pagando la spesa o il pasto con il ticket da 10 euro di un’azienda del privato la commissione raggiunge i due euro, contro lo 0,50 centesimi di un ticket di pari importo emesso da un ente pubblico.

Proprio qui si apre il terreno di scontro, con le associazioni che raggruppano la Grande Distribuzione e quelle dei pubblici esercizi come Federdistribuzione, Ancc-Coop e Fipe-Confcommercio, decise a pretendere lo stesso trattamento riservato a ministeri ed enti privati. Una battaglia che ha trovato in Silvio Giovine e Riccardo Zucconi, due deputati di FdI, la possibilità di trasformare le proprie lagnanze in un emendamento al DDL Concorrenza.

Secondo la GDO, uno dei problemi è che l’intero sistema dei buoni pasto si limita a poche società (Edenred, Sodexo e Day), ma l’associazione di categoria delle società che li gestiscono non sono affatto d’accordo e ricordano che mettere un tetto alle commissioni vorrebbe dire limitare la concorrenza. “Si metterebbe un limite alla contrattazione tra le parti — afferma il presidente di Anseb, Matteo Orlandini – siamo disponibili a un tavolo per limare le commissioni ai piccoli, ma non alle grandi catene. Il nostro è un settore regolato da contratti, a monte c’è quello con le aziende, a valle quello con la rete commerciale, e non mi risulta che nessuno sia uscito dal sistema. Siamo a oltre 300 contratti. C’è un libero mercato, senza avremmo un aumento dei costi per le aziende e un servizio peggiore per i lavoratori”.

“Le nostre imprese non sono più disposte a farsi carico di questi costi – replica Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione – e se nulla dovesse cambiare, i supermercati potrebbero anche decidere di non accettare più i ticket, o scegliere quali prendere e quali no. Quello dei buoni pasto è un settore a rischio che va regolato meglio per garantire alla distribuzione, che subisce condizioni decise da altri soggetti, di avere ancora uno spazio economico. E in più permettere di mantenere il buono che è uno strumento di welfare per i lavoratori e i cittadini”.
Non è da meno Ernesto Dalle Rive, presidente Ancc-Coop: “Il buono pasto va preservato come elemento di welfare e con quello che si potrebbe recuperare in termini di valore dal taglio delle commissioni si potrebbero adottare politiche di riduzione dei prezzi. I consumatori potrebbero acquistare di più e meglio, cibo sano a un prezzo ancora più giusto”.
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