Affermare che l’Italia sia in un Paese ritardo è un eufemismo: da queste parti qualsiasi cosa, storicamente, è fuori tempo massimo, dai treni alla Pubblica Amministrazione, dai semafori al digitale. Ma i ritardi che riguardano il Pnrrr, il leggendario fondo assegnato nel 2021 per dare una mano ai Paesi membri dopo la pandemia, non sono solo questioni interne, ma riguardano soprattutto l’Europa, che quando apre il borsellino accende i riflettori ed è pronta a bacchettare sulle dita chi si presenta dopo il suono della campanella.
Per dirne una, lo scorso 31 dicembre 2023, l’Italia aveva incamerato ben 102,5 dei 191,5 miliardi previsti dal Piano di Ripresa e Resilienza, ma di questi, risultava speso soltanto 42% del totale. Lo dice uno studio messo a punto dal Servizio Ricerche del Parlamento UE che ha voluto monitorare la situazione, finendo per incappare nelle difficoltà italiane a mettere in piedi progetti in grado di rimanere entro i tempi stabiliti dal piano europeo “NextGenerationEU”, la cui conclusione è prevista entro il 31 agosto 2026, due anni appena, stesso anno verso cui il Governo Meloni ha fatto slittare le tappe del finanziamento.
In cattedra, questa volta, è salito il vicepresidente della Commissione UE Valdis Dombrovskis, per ribadire il concetto: “Diversi Stati membri dovranno recuperare i ritardi sull'attuazione dei Pnrr nel corso del 2024, mentre ci avviciniamo al 2026: la data limite per lo strumento. Mentre il tempo passa, dobbiamo andare avanti con l'attuazione per garantire che tutte le riforme e gli investimenti siano adeguatamente attuati entro la data limite”. Indirettamente, un modo gentile per respingere al mittente le ipotesi di spostare i termini del Pnrr, come proposto giorni fa dal Ministro Giorgetti, ipotesi verso cui il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, aveva mostrato cautela ma senza escludere del tutto un’ipotesi che permetterebbe non solo all’Italia, ma anche a Francia, Germania, Spagna, Grecia e Portogallo – ovvero i protagonisti dei NextGenerationEU – di portare alla conclusione i loro progetti. Secondo gli esperti uno spostamento di date che presto o tardi diventerà inevitabile, a meno di non arrivare al punto di richiedere la clamorosa restituzione di tutti i denari assegnati finora, compera nei patti fin dall’inizio.
Lo studio europeo ha finito così per diventare una sorta di “tirata d’orecchi” ai ritardatari, Italia compresa, che hanno poco meno di 24 mesi per mettere a terra progetti in grado di migliorare il Paese, spendendo una montagna di soldi che da sempre è considerata un’occasione “irripetibile”.
Al momento, il rischio tangibile è quello di vedersi bloccare gli ultimi 90 miliardi previsti entro i prossimi 6 mesi. “La revisione ha spostato parti delle risorse e degli obiettivi verso la fine del piano. La decima rata è diventata la più grande (32,7 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti, compreso il prefinanziamento) e il 46% di tutti gli obiettivi è ora collegato ad essa”. Un modo, sottolinea il documento, per spiegare che entro il 2026 l’Italia ha promesso di raggiungere 159 “target” su 346, piccola strategia per permettere al nostro Paese di mettere al caldo tutte le tranche precedenti mettendo a rischio solo l’ultima, nel caso.
Bruxelles ricorda anche che in Italia le riforme ambientali, quelle per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del SSN e per finire quelle destinate a famiglia e infrastrutture, sono state ridotte rispettivamente del 7,6, dell’8,7 e del 25,8%, e questo non va bene. In compenso, a svettare sono Superbonus ed Ecobonus, che raggiungono i 14 miliardi di euro, insieme alla transizione digitale (13 miliardi) e l’alta velocità (8,7 miliardi). Per contro, ha ricordato Dombrovskis nel corso del suo intervento, la riforma della giustizia portata avanti dal governo italiano è da segnalare tra gli esempi più virtuosi di attuazione del Pnrr: “'Italia sta riformando il proprio sistema per ridurre la durata dei procedimenti giudiziari”.