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La tregua di Natale

Autore: Ester Annetta
Nell’estate del 1914 la guerra che si combatteva in Europa tra Gran Bretagna, Francia e Russia da una parte e Germania, Austria-Ungheria e Turchia dall'altra non aveva ancora assunto le dimensioni globali che, più tardi, con l’entrata in conflitto anche di Bulgaria, Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di altri Paesi "minori", l’avrebbe trasformata nella Prima Guerra Mondiale.

In autunno, sul fronte occidentale (tra il Belgio e il Nord della Francia) si era combattuta una sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, nelle Fiandre, per contrastare l'avanzata tedesca. Ciò aveva reso chiaro che quello che nelle previsioni degli Stati maggiori degli eserciti doveva essere un conflitto concluso entro Natale, sarebbe invece andato ancora avanti, con gli eserciti delle due opposte fazioni ormai posizionati nelle trincee che tagliavano in due l’Europa, dal Mare del Nord alla Svizzera.

Natale era alle porte allorché Papa Benedetto XV si era fatto promotore di una tregua, appellandosi ai governi delle potenze belligeranti affinché “i cannoni possano tacere almeno nella notte in cui gli angeli cantano”. Ma l’appello era stato respinto (come sarebbe accaduto anche tre anni dopo, nell’estate del 1917, quando ancora una volta il pontefice avrebbe chiesto di porre fine all’”inutile strage” che si stava perpetrando), giacché era ormai avanzata la campagna degli Stati coinvolti a demonizzare reciprocamente l’avversario.

Eppure era accaduto qualcosa di sensazionale ed incredibile, destinato a tingere di fiabesco un tratto di storia, ma che i capi degli eserciti cercarono invece di nascondere e poi di minimizzare, perché ritenuto un grave gesto di insubordinazione.

Era la notte della vigilia di Natale. Dai due fossati contrapposti, separati dal filo di ferro e da una striscia di una decina di metri che era “terra di nessuno” si smise di lanciare bombe a mano e di sparare. Furono per primi i tedeschi che accesero piccole luci lungo la loro trincea e iniziarono ad intonare canti natalizi, al termine dei quali augurarono “Buon Natale” ai soldati inglesi nella trincea dirimpetto. Questi fecero altrettanto, intonando gli stessi canti nella loro lingua. Fu l’inizio di una tregua spontanea: nessun comando si era accordato in tal senso, né c’era stato alcun ordine; erano stati gli stessi soldati ad aver deciso di mettere da parte la guerra almeno per quella notte, compiendo un magnifico atto di disobbedienza.

Dapprima con qualche esitazione e un po’ di diffidenza, furono di nuovo i soldati tedeschi a prendere l’iniziativa di uscire dalle loro trincee e avviarsi verso la terra di nessuno. Gli inglesi, di fronte, fecero altrettanto finché si ritrovarono faccia a faccia col nemico. E fu lì che accadde una specie di miracolo: i soldati avversari si strinsero la mano, cominciarono a parlare tra loro anche se conoscevano poco la lingua dell’altro, si scambiarono sigarette, bottoni, razioni di cibo e si raccontarono della loro terra e delle loro famiglie. Poi, insieme scavarono buche per seppellire i compagni rimasti uccisi, celebrarono messa, si scattarono foto, giocarono persino a calcio.

“Davvero avresti stentato a credere che eravamo in guerra” – scrisse un soldato in una lettera indirizzata ai suoi familiari – “Eravamo lì, parlando insieme ai nemici. Sono proprio come noi: hanno madri, fidanzate, mogli che aspettano il nostro ritorno a casa. E pensare che fra qualche ora ricominceremo a spararci addosso di nuovo”.

Centinaia di altre lettere spedite dal fronte - molte delle quali archiviate all’Imperial War Museum di Londra – hanno raccontato il miracolo di quella notte. In particolare quella scritta da Tom – soldato inglese - a sua sorella Janet si conclude con parole che il peso del tempo non ha scalfito: “E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercito e rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure non si può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?”

Sono passati più di cent’anni da quella notte di Natale. La speranza – malriposta – era che una stessa tregua ci fosse al conflitto che, di nuovo, si combatte ora in Europa; un conflitto che pure si era ritenuto potesse durare solo qualche settimana e che invece si approssima a compiere un anno; un conflitto per il quale Papa Francesco ha implorato che il Signore che nasce “illumini le menti di chi ha il potere di far tacere le armi e porre fine subito a questa guerra insensata!”; un conflitto che nemmeno nel giorno di Natale ha visto spegnersi i bagliori delle bombe e sostituirli con quelli di alberi e presepi… e non perché il Natale ortodosso non segue il calendario gregoriano, ma perché è forse andato perduto quel sentimento di umanità e fratellanza che dovrebbe illuminare la ragione e aprire i cuori.

Invece, è talmente gretto il pensiero dei potenti che manovrano questa guerra da indurre persino i bambini a perdere la loro fantasia e la loro innocenza.

E se un bambino smette di sognare e chiede in dono a Babbo Natale “armi, sistemi di difesa aerea e vittoria” resta solo da augurarsi che quei potenti un giorno rispondano di colpe ben più gravi di quelle evidenti.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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