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Le ragioni della guerra

Autore: Ester Annetta
La guerra non ha ragioni. O meglio, forse pretende di averne di storiche o politiche (quand’esse non appaiano, con evidenza lampante, come pretesti) ma non ne ha mai di logiche o razionali, ossia strettamente legate al buon senso ed alla necessità.

Né tanto meno la vittoria di una guerra si assegna “a chi ha ragione”: risponde piuttosto alla meccanica della pre-potenza, secondo cui vince chi è più forte, chi ha più armi, chi devasta e uccide di più.

La guerra non è mai necessaria, né è mai dovuta. E rappresenta, perciò, la sconfitta della ragione e la conseguente affermazione del dominio di quella hybris che gli antichi greci consideravano come il più grave peccato degli uomini, imperdonabile da parte degli dei: un misto di superbia e tracotanza che induce chi è potente a imboccare la deriva del delirio di onnipotenza, svilendone l’intelletto.

Tuttavia, a ben vedere, l’hybris oggi non è il vizio di singoli individui, è piuttosto una sorta di moderno narcisismo che pervade tutti, come già aveva osservato Nietzsche alla fine dell’’800, rilevando che “hybris è oggi tutta la nostra posizione rispetto alla natura, la nostra violentazione della natura con l’aiuto delle macchine e della tanto spensierata inventiva dei tecnici e degli ingegneri”.

Basta guardare quali altri mali ci sono oltre alla guerra e quanti altri da essa pure discendano, per convincerci della nostra connivenza e di quanto abbiamo noi tutti - come società moderna – finito per esasperare la nostra “volontà di potenza”: concetto che, se per lo stesso Nietzsche individuava la tensione verso un perpetuo rinnovamento dei valori e della vita, oggi viene inteso esclusivamente nel suo senso letterale.

Passato il timore che l’umanità intera potesse essere decimata da un virus letale, siamo adesso arrivati a temere la catastrofe nucleare minacciata dal delirio di un folle, dimenticando che agenti distruttivi della vita sul pianeta dobbiamo invece considerarci noi tutti, che da sempre ideiamo, finanziamo e costruiamo strumenti di morte micidiali. E tali non sono soltanto le bombe nucleari – che la vita possono distruggerla in pochi minuti – ma anche quegli altri, impiegati in tutte le guerre in corso nel mondo, che, continuando a sprigionare gas tossici, accelerano inesorabilmente l’avanzata verso la catastrofe climatica: meno immediata, si, ma nemmeno troppo, se si considera che altri veleni si producono come conseguenza indiretta di guerre, e di questa guerra in particolare. Difatti, se il gas naturale fornito dalla Russia viene a mancare, sopperiscono (almeno in parte) carbone e petrolio, causa a loro volta di emissioni nocive; e se pure diminuiscono le importazioni alimentari dall’Ucraina, serve potenziare le risorse interne ricorrendo ad un incremento dell’uso di OGM, fitofarmaci e fertilizzanti sintetici che avvelenano la terra.

Ma non è ancora tutto, perché se la guerra “fa male alla salute” non è solo per le sue vittime dirette o per le dannosità che altrimenti cagiona: nuoce altresì perché comporta una distrazione di risorse economiche che potrebbero essere ben altrimenti impiegate. Ed è responsabilità di tutti anche questa: assecondare o accettare politiche che sconsideratamente – se non addirittura vergognosamente – da un lato tagliano fondi alla sanità e dall’altro destinano parte del PIL nazionale alla costruzione di armi che vengono poi fornite ai paesi belligeranti.

Persino il Papa ha avuto parole di condanna in merito, dichiarando senza mezzi termini che l’incremento delle spese militari è una vergogna, tanto più intollerabile a fronte del taglio di sei miliardi di spesa in ambito di sanità pubblica previsto dal nostro governo per il 2022, nonostante lo sfinimento causato da due anni di pandemia che hanno inciso sia sul servizio sanitario che sull’economia delle famiglie, creando profonde disuguaglianze.

Ed a proposito di disuguaglianze, ce n’è ancora una di responsabilità collettiva, che mette in luce quanto di hybris si possa peccare nel considerare col criterio dei due pesi e due misure drammi identici ma diversi per latitudine geografica.

Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria, Turchia, Israele: quante ce ne sono di guerre in atto? Quanti profughi, con frequenza pressoché quotidiana, tentano di fuggire a violenze e torture, affrontano il mare o il gelo balcanico, per raggiungere terre dove sperano di trovare accoglienza e solidarietà?

Eppure pare esistere una gerarchia – un ordine di classi e di razze, anzi – per cui, a dispetto delle idee di giustizia globale e di legalità internazionale, sembra importarci solo delle vittime della guerra che si combatte alle nostre porte, che compatiamo soltanto la sorte di quei profughi, mentre più facilmente siamo portati ad etichettare indistintamente come terroristi le popolazioni del Medio Oriente ed a respingere nel Mediterraneo o ai confini di rotte montuose e gelide esseri umani altrettanto sporchi ed affamati che ugualmente cercano di sfuggire ad altre guerre ed alla miseria.

La grande minaccia all’umanità, allora, siamo per primi noi stessi, che in nome del progresso uccidiamo la natura; che, in nome di una finta solidarietà sprechiamo risorse altrimenti utili e dimentichiamo la solidarietà vera; che, quando ci interessiamo delle guerre altrui, lo facciamo perlopiù con l’approccio della tifoseria per l’uno o l’altro contendente che non con un reale sentimento di compassione e solidarietà.

Avidità, falsità, egoismo.

È contro tali vizi che bisognerebbe perciò combattere, per riconquistare il senso d’appartenenza ad un genere universale e ad un unico pianeta-casa, e per riscoprire quella “ragione” che più che alla logica risponde alla coscienza.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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