7 maggio 2022

Orgoglio e pregiudizio

Autore: Ester Annetta
Si chiamava Elena Lucrezia Cornaro Piscopia ed è conosciuta come la prima donna laureata al mondo.

Era il 25 giugno 1678; nelle Cattedrale di Padova – dove la cerimonia dovette essere trasferita per poter contenere l’afflusso enorme di pubblico – quella giovane donna di 32 anni veniva proclamata “magistra et doctrix in philosophia tantum” (“soltanto” in filosofia), ricevendo le insegne del suo grado, uguali a quelle dei colleghi uomini: il libro, simbolo della dottrina; l’anello per rappresentare le nozze con la scienza; il manto di ermellino, a indicare la dignità dottorale, e la corona d’alloro, contrassegno del trionfo.

Con uno specifico adattamento di quel cerimoniale, il libro, però, le venne consegnato chiuso anziché aperto, a indicare che comunque l’insegnamento le restava precluso, in quanto donna.

Per Elena quel titolo rappresentava tuttavia un traguardo, non solo di studi ma anche di emancipazione.

Dotata di un’intelligenza brillante e sostenuta dal padre che, confidando nelle sue doti, l’aveva affidata sin da bambina agli insegnamenti di illustri studiosi e professori dell’epoca, Elena aveva raggiunto una vastissima cultura, che spaziava dalla teologia e dalla filosofia alle lingue (classiche e moderne: latino e greco, spagnolo, francese, ebraico) e alla musica. Era in grado di dissertare di filosofia e di dialogare in latino, faceva parte di varie accademie in tutta Europa e riceveva la visita di eruditi e studiosi da ogni paese.

Ma restava pur sempre una donna.

Perciò, quando spinta dalla sua profonda vocazione religiosa - che a diciannove anni l’aveva indotta a fare voto di castità e diventare oblata benedettina - aveva chiesto all’Università di Padova (che sin dalle sue origini, nel 1200, vantava quella libertà di pensiero e opinione che si era poi tradotta nel suo motto “Universa universis patavina libertas”: tutta intera, per tutti, la libertà nell'Università di Padova) di essere ammessa agli studi per conseguire la laurea in teologia, aveva trovato una ferma opposizione. Il vescovo di Padova, cardinale Gregorio Barbarigo – che era anche Cancelliere dell’università – riteneva infatti "uno sproposito" che una donna potesse diventare "dottore", perché avrebbe significato “renderci ridicoli a tutto il mondo”.

Elena s’era perciò dovuta accontentare “soltanto” della laurea in filosofia.

Non ebbe tempo di battersi oltre: morì di tubercolosi sei anni dopo, senza lasciare grandi tracce di sé, eccetto quel primo, significativo ed esemplare spiraglio di affermazione della libertà e autorevolezza femminile che, pur non potendo sovvertire tutte le regole sociali del suo tempo ed il pregiudizio della priorità intellettuale degli uomini, aveva schiuso l’uscio del riconoscimento della capacità delle donne di pensare e di docere.

Ci volle poi più di mezzo secolo perché in Italia un’altra donna, Laura Bassi, giungesse a laurearsi.

La storia di Elena pare oggi tornare d’attualità per rivelare come - nonostante il trascorrere dei secoli, i mutamenti sociali e ideologici, il progresso – alcuni retaggi del passato persistano, manifestandosi in tutto il loro stridente contrasto con la diversa, ostentata, realtà.
Samantha Cristoforetti di mestiere fa qualcosa che nel 1600 non era nemmeno lontanamente immaginabile. A quel tempo, anzi, Galileo Galilei veniva processato dall'Inquisizione e condannato all'abiura e all'esilio per aver appoggiato la teoria copernicana dell'eliocentrismo, andando contro ciò che era scritto nei testi sacri.

E a differenza di Elena, Samantha non ha trovato alcun ostacolo nella scelta dei suoi studi e nella costruzione della sua carriera: ufficiale pilota militare all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli; laurea in scienze aeronautiche presso l'Università Federico II; specializzazione presso la Sheppard Air Force Base di Wichita Falls in Texas dove è diventata pilota di guerra; Laurea honoris causa in Bioingegneria all’università di Pavia; Laurea honoris causa in Ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino; selezionata come astronauta dall'Agenzia Spaziale Europea e affidata alla missione “Futura” di lungo termine sulla Stazione Spaziale Internazionale effettuata nel 2014. Inoltre parla correntemente il francese, il tedesco, l’inglese e il russo ed è stata insignita di onorificenze e riconoscimenti vari.

Ma, come Elena, è donna.

E non avendo scelto di vocarsi esclusivamente alla carriera e tanto meno alla vita ascetica ma di avere anche un compagno e due bambini, alla vigilia della sua nuova missione sulla SSI, decollata lo scorso 27 aprile, la falange conservatrice dei giudicanti di turno e del popolo social è insorta, spingendosi quasi a mettere in dubbio la sua adeguatezza di madre dal momento che, per ben sei mesi, se ne starà a fluttuare nello spazio lontano da pappe e pannolini, delegando in toto al papà la gestione dei figli.

Come ad ammettere, insomma, che alla donna in quanto madre competa prioritariamente (l’”esclusivamente”, per fortuna, non è stato azzardato) il ruolo di accudimento, di fronte al quale qualunque altra sua abilità, specialità, competenza è bene che arretri. In difetto, lungi dal passare per emancipazione, la sua condotta sarebbe catalogabile come espressione di puro egoismo nonché pessimo esempio di maternità.

Mi astengo da ogni giudizio, osservando soltanto che – come si confà a chi, confidando nell’essenzialità, riconosce che “intelligenti pauca” - ha avuto ragione Samantha a non replicare agli inquisitori digitali, limitandosi a rilasciare una semplice dichiarazione che, con sottilissima ironia, sottintende elegantemente come, di tanto in tanto, sarebbe sufficiente cambiare prospettiva per cogliere il senso delle cose. E, in questo caso, la giusta prospettiva non è quella di ribadire la parità della donna all’uomo, ma, viceversa, quella dell’uomo alla donna: “Ho la fortuna di avere un partner che ha sempre dimostrato di cavarsela molto bene in famiglia e di essere il punto di riferimento per i nostri due figli anche per lunghi periodi. Noi astronauti dobbiamo molto a chi ci aiuta quando siamo lontani da casa in missione o in addestramento.”

Punto.
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