La Cappella degli Scrovegni e la Basilica del Santo: sono i motivi che affiorano più immediati in mente quando si pensa di visitare Padova. E sono difatti quelli che hanno indotto la mia decisione di “allungare il viaggio” dopo aver assistito alla monumentale e straordinaria prima della Carmen all’Arena di Verona, lo scorso venerdì.
L’avevo immaginata come una gradevole passeggiata supplementare, in una città di cui conservavo soltanto i ricordi frammentari di qualche antica gita scolastica, e che valeva la pena riscoprire, vista anche la facile vicinanza.
L’accesso alla Cappella degli Scrovegni era stato perciò prenotato in tempo utile, senza neanche troppo badare sulla scansione oraria degli ingressi proposta dal sito, ritenendo che fosse più un’eredità lasciata dalla pandemia anziché la risposta ad una ben precisa esigenza che soltanto dopo si sarebbe chiarita.
La sorpresa è stata immediata, già all’arrivo in quella tranquilla stazione senza calca e senza affanno. In questa stagione, i turisti – quelli tedeschi, soprattutto – che acquartierati sul Lago di Garda, si inoltrano poi nella vicina Verona richiamati dalla stagione dell’Opera o proseguono per Venezia, a Padova non si fermano, o, almeno, non in massa. La paradossale sensazione di estraneità provata il giorno prima nel sentire tutt’intorno parlare soltanto lingue diverse, pur essendo in patria, è svanita repentinamente, restituendo una confortevole sensazione di appartenenza.
Il centro storico – che lascia spazio ad una vasta area pedonale – quasi avvolge in un caldo abbraccio d’accoglienza, con i suoi fitti e innumerevoli portici (che si contendono il primato con Bologna) che trasmettono una sensazione di protezione; i locali ordinati, allegri ed invitanti; le vetrine; la fresca e sorridente gioventù (in buona parte universitaria, giacché l’ateneo padovano è il secondo più antico dopo quello bolognese) che prevale decisamente rispetto agli avventori ed ai passanti più adulti.
Case dalle facciate armoniose, scorci deliziosi, strade pavimentate da un antico acciottolato che mantiene intatto il suo fascino d’altra memoria.
La Basilica del Santo è una meraviglia assoluta, dove si concentrano innumerevoli stili e geometrie che cesellano di bellezza esteriore la potenza spirituale di un luogo che da secoli ripropone a genti d’ogni dove la sua sacralità.
A torto ho pensato che l’apoteosi dell’armonia e del genio artistico fosse concentrata nelle pennellate di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, uno scrigno di finezza e incanto, dove vita e morte, peccato e salvezza, vizi e virtù si susseguono nei registri che fanno da cornice ad un giudizio universale secondo soltanto a quello della Cappella Sistina. Un concentrato di forme e colori che un sofisticato sistema di controllo di temperatura e umidità preserva dalle insidie eterne. E’ il motivo per cui le porte d’accesso si aprono soltanto una volta in entrata ed in uscita ad intervalli prestabiliti; arrivare in ritardo rispetto all’orario indicato sul proprio biglietto significa perciò aver negato l’accesso a tanta preziosa meraviglia.
A torto, appunto, perché il confronto tra un tale – certo più noto - gioiello artistico e quello del Battistero del Duomo di Santa Maria Assunta diventa difficile. Qui, Giusto de’ Menabuoi, con evidenti influenze giottesche, ha affrescato un altrettanto ardito capolavoro, sconosciuto ai più e che io stessa ho scoperto per caso. L’Antico e il Nuovo testamento, la vita e la morte di Gesù, la visione del Paradiso: tutto descritto da colori, paesaggi, allegorie tra loro collegati da precisi simbolismi.
“Padova è la città dei 3 senza: senza erba, perché Prato della Valle è una piazza e l’erba non c’è; senza nome, giacché basta dire “il Santo” perché sia chiaro a chi ci si riferisce; senza porte, perché da quando nacque, agli inizi dell’800, e per circa un secolo, lo storico caffè Pedrocchi scelse di restare sempre aperto, giorno e notte, essendo luogo di incontro per accademici, intellettuali e uomini politici”. A spiegarlo è Vanda, una bella e gentile signora ben preservata dagli anni, incontrata davanti al Duomo, che si definisce pazzamente innamorata della sua città. È davvero lo è a tal punto che non solo si è spesa per due mandati consecutivi come consigliere comunale, accogliendo le istanze soprattutto della categoria dei commercianti, ma continuando a impegnarsi tuttora – ad incarico spirato – per promuovere la conoscenza e la cultura di Padova, affinché le sue immense ricchezze – che l’hanno resa patrimonio dell’Unesco – diventino meta di un turismo più dedicato e non “mordi e fuggi” com’è attualmente. Ed è talmente coinvolta in questo progetto che, senza pensarci due volte, dopo averci intrattenuto per qualche minuto srotolando tutte le bellezze che meritano d’essere visitate (Battistero compreso!) carica in macchina me e la mia compagna di viaggio regalandoci un esclusivo e inaspettato tour della città.
Le piazze, i palazzi, il castello carrarese, il lungo fiume, l’oratorio di San Michele, l’Abbazia di Santa Giustina, gli Eremitani, la Ragione diventano così luoghi che si arricchiscono di contenuti, tra storia e aneddoti. E una volta salutata Vanda e ripreso il cammino a piedi, ogni dettaglio anticipato viene confermato dalla vista e dai sensi.
Padova si svela così come un prezioso gioiello tenuto segreto, che ha smesso d’essere esibito soltanto in occasioni speciali e prescelte per essere mostrato in ogni momento, nell’ordinaria quotidianità.
Una città dalla bellezza delicata e a tratti commovente, inaspettata per l’immensità dei doni che può offrire al turista casuale, che dunque dovrà meditare, la volta successiva, per una sosta che non sia solo di passaggio ma di autentico e meritato interesse.