La notorietà ha un peso specifico che si traduce in rischio, e il rischio un costo da mettere a bilancio. Un’equazione che conoscono bene i “big” della musica, della finanza, dello spettacolo e dello sport, che temendo troppe effusioni vivono perennemente circondati da guardie del corpo. A far scuola l’indimenticato omicidio di John Lennon, ucciso da un suo fan accanito, un monito per tutti dall’8 dicembre del 1980 in poi.
Neanche Mark Zuckerbeg, l’uomo che ha inventato i social e trasformato l’esistenza in “like”, sfugge alla regola della popolarità: se riuscisse a monetizzare anche le minacce di morte che riceve ogni giorno, sarebbe di gran lunga sulla cima della classifica dei più ricchi del pianeta. Merito – o meglio, colpa – di Facebook, la sua creatura più celebre, secondo la “American Academy of Matrimonial Lawyers”, negli Stati Uniti ormai la prima causa di separazione e divorzio, con centinaia di donne e uomini beccati in flagranza di post che accusano il giovane Zuckerberg di avergli rovinato la vita e promettono vendetta.
Il sito di politica e potere “Protocol” ha provato a vederci chiaro, riuscendo a stilare una classifica del tutto particolare che riguarda le spese vive per proteggere la vita dei grandi capi delle “fintech”.
Perché Zuckerberg potesse dormire sonni tranquilli, ad esempio, nel 2020 la spesa ha toccato i 23,4 milioni di dollari, suddivisi in 10 milioni forfait immolati dalla società per la sicurezza generica e altri 13,4 aggiunti appositamente per la di lui persona. E Mark non è il solo a pesare sul capitolo di spesa: mettere in sicurezza anche Sheryl Sandberg, 51 anni, direttrice operativa di Facebook, costa altri 7,6 milioni.
Ma se Mark ha paura, altri suoi colleghi non se la passano molto meglio. Succede lo stesso in casa “Google”, dove per garantire l’incolumità del Ceo Sundar Pichai, lo scorso anno il colosso di Mountain View ha messo mano a 5,4 milioni di dollari, con un deciso incremento rispetto all’anno precedente, quando guardargli le spalle era costato 3,3 milioni.
Una classifica lunga, fatta di valigiate di soldi spesi per vincere le tremarelle dei “boss”, che al terzo posto ha i due milioni di dollari immolati per John Zimmer, fondatore di “Lyft”, colosso californiano dei trasporti, o ancora i 1,6 milioni sufficienti ad “Amazon” per garantire la pace di Jeff Bezos, anche se alla cifra manca la parte sborsata di tasca propria. Chiude la classifica Tim Cook, Ceo di Apple, a cui per prendere sonno “bastano” mezzo milioni di dollari.
Unico caso inverso quello di Dara Khosrowshahi, ad del colosso “Uber”: dai due milioni di dollari spesi nel 2019, lo scorso anno la cifra è scesa a 850mila dollari. In fondo chi potrebbe volerle male, a parte i tassisti?
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