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Quattro note e un voto

Autore: Ester Annetta
Pare che anche questa sia una colpa del Covid, a dispetto dell’illusoria previsione secondo cui dalla pandemia saremmo usciti tutti migliori: le restrizioni, la segregazione in casa, l’assenza di relazioni hanno determinato il diffondersi di condizioni di ansia e di depressione, incentivando - per altro verso - l’abuso di strumenti social e l’incremento del loro uso improprio.

Le vittime più colpite sono state naturalmente i giovani, gli adolescenti soprattutto, che a causa delle ‘diversa normalità’ imposta con la didattica a distanza nella gestione delle relazioni con insegnanti e compagni, hanno amplificato la propria condizione di malessere e isolamento. L’essere sempre connessi e presenti on-line, li avrebbe difatti resi più soli e perciò ancora potenzialmente più esposti agli attacchi della Rete. Il tutto con un aumento esponenziale della tendenza al bullismo e al cyberbullismo.

Secondo le rilevazioni dell’Istituto Superiore di Sanità - le cui risultanze sono state pubblicate lo scorso febbraio, in occasione proprio della Giornata Internazionale contro bullismo e cyberbullismo - tali fenomeni in Italia si sarebbero enormemente allargati, giungendo a coinvolgere categorie di ragazzi sempre più giovani, addirittura sotto gli 11 anni, e con una maggior incidenza tra i maschi, laddove invece le ragazze sono perlopiù vittime.

Da ciò la necessità che la scuola - in primis – rieduchi i ragazzi a star bene insieme, crei momenti di confronto, di dialogo e di ascolto, ponendo attenzione alle necessità e ai disagi di tutti, ricercando quelli meno manifesti, e favorendo anche l’inclusione di coloro che hanno maggiori difficoltà o disabilità.

La scuola, dunque, ancora una volta protagonista ma, soprattutto, regista di dinamiche ed interventi che spesso si pretende vadano al di là delle sue precipue funzioni. Una sorta di ‘clinica’ dove andrebbero coltivate e curate non sono solo le menti ma anche lo spirito, dove andrebbero fornite regole di vita oltre che di condotta, dove il malessere e la potenziale devianza dovrebbero essere intercettate e prevenute prima che deflagrino. Il tutto col beneplacito di famiglie sempre più deleganti e pronte a compensare con concessioni esuberanti le concrete attenzioni che dovrebbero invece dare ai loro figli.

Ci prova, in verità, la scuola a mettere in campo ogni strumento per assolvere ai suoi compiti, anche quelli nient’affatto scontati. Eppure, resta sempre nel mirino delle critiche dell’opinione comune ma, soprattutto, dei tanti genitori schierati a oltranza con i loro pargoli e persino talmente arroganti da pretendere di dettare linee di condotta se non addirittura di insegnamento.

Accade così che le note disciplinari e i voti, ultima roccaforte che gli insegnanti possono impiegare nel tentativo estremo di recuperare ‘ordine e disciplina’ tra adolescenti ribelli, irresponsabili e (fuor di metafora) decisamente maleducati, diventano strumenti stranianti che, piuttosto che piegare alla correttezza, al buon senso ed all’impegno, acuiscono la cattiva condotta fino all’eccesso.

Quattro note disciplinari e un cinque sono così bastati ad un sedicenne di un liceo di Abbiategrasso - proprio sul finire dell’anno scolastico - per ‘giustiziare’ la meschina professoressa di italiano che tanto aveva osato.

È arrivato a scuola con un coltello da caccia tenuto ben nascosto nello zaino e, dopo esser stato interrogato e aver raccattato un’insufficienza, ha cominciato a discutere animatamente con l’insegnate (alla quale, giacché conosco certe dinamiche, e considerati, tra l’altro, i precedenti disciplinari, avrà sicuramente lanciato l’accusa più ricorrente tra gli studenti: “Prof, lei ce l’ha con me!”), finché le si è scagliato addosso con il coltello, colpendola alle braccia e alla testa, sotto gli occhi inorriditi dei compagni, che pare abbia a loro volta minacciato con una pistola a pallini. Qualcuno è riuscito a scappare e ad allertare il personale scolastico, sicché tutte le classi sono state evacuate nel mentre che arrivava la pattuglia dei carabinieri, che ha ammanettato il ragazzo, successivamente ricoverato nello stesso ospedale dove era stata intanto portata la sua insegnante.

“Fatto gravissimo” – ha immediatamente commentato il Ministro dell’Istruzione e del Merito subito accorso a far visita alla malcapitata professoressa – “Dopo l’esperienza del Covid gli episodi di bullismo si stanno moltiplicando, proprio perché si è interrotta quella relazione interpersonale che è fondamentale nello sviluppo educativo”. E ancora: “Voglio che si colga l’occasione per riflettere sull’introduzione dello psicologo a scuola: è un momento particolarmente difficile, il disagio dei ragazzi, anche a seguito del Covid, è molto aumentato”.

Dunque, ancora il Covid, le cui conseguenze indirette pare siano destinate ad essere più durevoli della pandemia stessa.

È innegabile che un legame ci sia; la didattica a distanza ha scoperchiato tante fragilità dei ragazzi ed anche la loro insofferenza, contribuendo ad accrescere comportamenti aggressivi, di denigrazione ed ingiurie, di esclusione sia in rete (ecco dunque il cyberbullismo) che ‘in presenza’ (bullismo vero e proprio).

Ma a distanza di ormai due anni dalla fine dell’isolamento e della DAD, non starà forse diventando un alibi un po’ troppo abusato che tende pretestuosamente a distogliere l’attenzione da un diverso problema?

E difatti la vera questione è la mancanza di efficaci sistemi educativi, intesi non come metodi di sviluppo delle discipline e delle diverse intelligenze (che è compito didattico) ma come strumenti per incrementare le facoltà morali e, soprattutto, il senso del rispetto: per i ruoli, per le istituzioni e soprattutto per le persone.

Allora non può essere compito della scuola supplire a carenze di tutt’altra natura che andrebbero colmate in contesti più intimi e domestici, con un’attenta azione di vigilanza, controllo e, soprattutto, di dialogo.

Le famiglie per prime dovrebbero perciò mostrarsi complici e alleate della scuola e degli insegnanti, riconoscendo il valore e l’importanza della loro funzione piuttosto che svilirne immagine ed autorevolezza col ricorso continuo alla minaccia di esposti, denunce e ricorsi, che veicolano ai ragazzi il messaggio di una inefficienza ed un’inadeguatezza contro cui hanno tutti il diritto di ribellarsi. Anche a colpi di coltello o di proiettili.

P.S. Io per ora me la sono cavata con otto solchi tracciati con un chiave sulla carrozzeria della mia auto…
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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