Che lo si ammetta esplicitamente o meno, è di tutta evidenza che, sin dal primo momento, quello tra Russia e Ucraina ha assunto i connotati di un conflitto ben più ampio, in cui, sebbene senza armi, missili e vittime, di fatto è stato chiamato in campo tutto l’Occidente.
Le sanzioni che l’Unione Europea ed altri Paesi del mondo hanno messo in atto nei confronti della Russia, colpendo diversi settori della sua economia al fine di indebolirla, con l’intento di indurre così Putin a desistere dal proseguire la sua “operazione militare”, sono state accompagnate da una serie di altre iniziative più “spicciole” che nulla hanno a che fare con le sanzioni ma, piuttosto, appaiono come indice d’un crescente ed indiscriminato sentimento russofobo che finisce per coinvolgere – a volte in misura alquanto sconsiderata – anche ambiti (come lo sport e la cultura) che dovrebbero restarne esclusi.
È vero: lo sdegno e la condanna civile e morale per una guerra tanto illegittima e dannosa determina un coinvolgimento emotivo tale per cui si sarebbe portati ad assumere posizioni rigorose e di drastica condanna di tutto ciò che sia legato alla Russia; in tal modo, però, si rischia di cadere in eccessi, in nome di quel tanto abusato “politicamente corretto” che spesso aziona la censura con troppa disinvoltura.
Di esempi ce ne sono già tanti; quello nostro (nel senso di nostrano) più eclatante ci riporta al caso dell’Università Milano-Bicocca che, qualche settimana fa, "per evitare qualsiasi polemica", ha cancellato (ripensandoci tuttavia subito dopo, quando altre polemiche si sono scatenate) un ciclo di lezioni su Fëdor Dostoevskij con lo scrittore esperto di Russia, Paolo Nori.
Tra i tanti, sulla vicenda è “fattivamente” intervenuto anche lo street-art Jorit, che, al suo consueto modo, ha trasformato il grande scrittore russo in uno dei volti dei suoi murales, segnato dalle due inconfondibili linee rosse sulle guance - simbolo di battaglia – che ne connotano la militanza in quella “tribù umana” in nome della quale ci si batte per rivendicare valori e diritti.
E, del resto: “La bellezza salverà il mondo”, faceva dire Dostoevskij ne “L’Idiota” al tormentato Ippolit, che riprendendo le parole del principe Miškin, chiedeva “quale” fosse la bellezza capace di tanto.
Non era intesa, difatti, in senso estetico, quanto piuttosto si identificava con quella in grado di poter affrancare il mondo dal male. Il bene e la bontà, dunque, ossia tutto quanto sia in grado di custodire un’idea di giustizia, a prescindere dalla perfezione della forma.
Altro episodio è stato, poi, l’esclusione dall’edizione 2022 del concorso per l'”European tree of the year” della celebre "quercia di Turgenev", un maestoso albero (scampato tra l’altro ad un uragano che lo aveva colpito lo scorso anno) che il grande scrittore russo - uno dei padri del riformismo, paladino della condizione dei contadini, amante della campagna e dei boschi - piantò 198 anni fa.
Gli organizzatori della competizione l’hanno motivata dichiarando di “non poter restare a guardare l'aggressione senza precedenti della leadership russa contro un paese vicino”: come se un albero potesse sparare, uccidere, invadere una nazione!
E ancora (ma l’elenco potrebbe continuare) c’è stata la petizione lanciata nei giorni scorsi su Change.org volta a chiedere la rimozione della targa firmata da Putin - collocata nella piazza antistante la Basilica di San Nicola a Bari - da lui donata, nel 2007, insieme ad una statua dello stesso Santo (venerato sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa) in occasione di un vertice intergovernativo con l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Prodi.
La targa recita: “"Possa questo dono essere testimonianza non soltanto della venerazione del grande Santo da parte dei Russi ma anche della costante aspirazione dei popoli dei nostri paesi al consolidamento dell'amicizia e della cooperazione".
Di rimando, la petizione sottolinea che “avere una dedica di Vladimir Putin dopo quanto accaduto in Ucraina davanti ad uno dei monumenti religiosi più importanti della regione è un'onta agli occhi del mondo e di tutti i turisti che visitano ogni anno la nostra regione”.
Qualcuno, sostenendo la petizione, ha addirittura chiesto che la stessa statua del Santo venga spostata "in un luogo discreto, nel quale per vederlo occorra andarci appositamente".
Viceversa – con quella saggezza e quel senso pratico che evidentemente l’esaltazione tende spesso ad annientare - il priore e rettore della Basilica ha replicato che, ferma restando la libertà di ognuno di esprimere le proprie opinioni “quella statua è un segno di un evento storico e gli eventi storici non possono essere cancellati”.
Di fronte a tali episodi, ciò che chiaramente emerge è che di certo la russofobia non contribuisce affatto a costruire la pace; è anzi un atteggiamento che, lungi dal “punire” il dittatore di turno, rischia di aprire un conflitto razziale e di intaccare le relazioni con un popolo ricco di tradizioni; è una minaccia alla conoscenza ed alla cultura, le sole armi davvero in grado di sconfiggere l’ignoranza e le barriere che sono alla base di ogni conflitto.
La cultura, infatti, in tutte le sue manifestazioni, è più forte di qualsiasi dittatura.
È un valore universale, la chiave di lettura della storia e delle sue guerre, la malta per edificare la pace.
È quella bellezza che salverà il mondo.