16 luglio 2022
salvataggio - mare

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Salvataggio e salvezza

Autore: Ester Annetta
Ci sono notizie, destinate come tutte ad invecchiare e ad essere dimenticate, che hanno tuttavia il privilegio di resistere un po’ più a lungo nella memoria collettiva. Sono quelle che, insieme al fatto di cronaca, sono in grado di veicolare sentimenti, rivelare l’essenza profonda di gesti ed azioni che anche se non ambiscono a definirsi eroici sono tuttavia pregni di profonda umanità. Tanto da far sentire piccoli ed insignificanti tutti noi, vittime del nostro sterile egoismo e, ancor prima, del pregiudizio.

L’ultima è scritta negli occhi stanchi e sul volto stremato di un ragazzone grande e grosso che per ore ha resistito allo sballottolamento delle onde aggrappato al frammento di relitto dell’imbarcazione che avrebbe dovuto traghettarlo dall’inferno della sua terra alla salvezza della nostra.

Il video che lo ritrae riguarda l’ultima fase d’un soccorso che l’imbarcazione di Medici senza Frontiere ha compiuto nelle acque del Mediterraneo, dove qualche settimana fa si è consumata l’ennesima tragedia di migranti destinata ad aggiungersi alle statistiche e ad aggiornare il computo numerico di vittime che non avranno mai un’identità.

L’omone indossa una maglietta rossa che l’acqua a tratti appiccica alla sua pelle a tratti gonfia spingendovi piccole bolle d’aria. Sulle sue possenti spalle, affioranti appena sopra la superficie liquida, è poggiato un piccolo fagotto giallo, che di tanto in tanto un rapido scatto della mano – attenta a non mollare la presa del legno - ricaccia un po’ più in alto per impedire che finisca in acqua. Si direbbe il gesto di chi tenta di mettere in salvo la bisaccia contenente i suoi pochi averi, l’avanzo d’una vita e d’una identità abbandonate da cui possono forse germogliare nuove opportunità, se solo riuscirà a mettersi in salvo.

Ma quando l’occhio della videocamera giunge più prossimo al naufrago appare chiaro che il piccolo fagotto giallo è il corpicino immobile di un bimbo, la consegna che l’omone ha ricevuto qualche ora pima da un altro naufrago, un ragazzo appena diciassettenne – tra i pochi capaci di nuotare – che ha tentato di prestare aiuto a quanti più compagni di traversata possibile per impedirne l’annegamento, dopo che il gommone su cui viaggiavano si è ribaltato.

Ne ha tratti in salvo parecchi, donne e bambini perlopiù, compreso il piccolo fagotto giallo: una bimba di appena quattro mesi che non è certo che sia ancora viva, immobile come pare sulle spalle dell’omone.

Dei suoi sei amici però - quelli insieme ai quali aveva giocato la carta della speranza imbarcandosi verso il miraggio d’un altrove senza fame e senza guerra – non è riuscito a salvarne nessuno.

All’arrivo dei soccorritori è tutto un tramestio di onde, salvagenti lanciati in acqua, urla e frasi concitate pronunciate in una lingua straniera. E poi braccia che si tendono, gambe mostruosamente magre che scavalcano i bordi dell’imbarcazione della salvezza, pianti di gratitudine e di sollievo. E quell’improvviso, acuto, vagito che rivela che anche il fagottino giallo ce l’ha fatta, liberato dal laccio della morte dalle mani sapienti e veloci del medico soccorritore che, dimentico del trambusto generale, è rimasto in disparte a praticargli un massaggio cardiaco.

Tutto sa di miracolo in quegli istanti: l’intervento di salvataggio compiuto in extremis da Medici senza Frontiere, il mare calmo che l’ha agevolato, la forza di chi per ore ha resistito in acqua in attesa dei soccorsi, il coraggio del diciassettenne che ha tratto in salvo altri naufraghi, la tenacia dell’omone che ha tenuto in spalla il piccolo fagotto giallo preoccupandosi della sua salvezza prima ancora che della propria, il suo vagito di rinascita. Lo immagino, quell’uomo, mentre, sballottato dalle onde ed allo stremo delle forze, canticchia sottovoce una ninna nanna alla piccola che regge sul dorso, ripetendole parole di speranza e raccontandole di un posto bellissimo dove potrà crescere felice senza ricordare questa brutta avventura.

Il miracolo più grande è allora forse proprio questo: che un ragazzino di diciassette anni ed un omone a stento capace di reggersi a galla, in un momento di difficoltà estrema, anziché preoccuparsi di se stessi fregandosene degli altri (come perlopiù noi tutti siamo abituati a vedere/fare nella società attuale), abbiano messo da parte fatica e paura e rischiato la propria vita per spirito di solidarietà, così da salvare quella di decine di sconosciuti; in particolare di una bimba piccolissima, uno scampoletto d‘esistenza senza storia e senza passato, che meno di tutti avrebbe avuto probabilità di sopravvivenza.

Perché ognuno di quei disperati resistenti ha diritto ad un futuro e tutti hanno diritto ad una possibilità, prima ancora d’essere passati al vaglio di chi – perlopiù incurante di tanta sofferenza e disperazione - varcata la linea di confine che non separa soltanto terre fisiche ma anche territori d’umanità, decide se e come cambierà la loro vita.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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