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Autore: Ester Annetta
Non ci sono luoghi sicuri quando si è in guerra. Nemmeno la propria casa lo è; perde la sua vocazione di nido, di porto sicuro dove rifugiarsi da ogni tempesta, per diventare bersaglio, al pari di qualunque altro colpito dall’indistinta furia omicida.

Peggio ancora è se, nel malvagio disegno che ha innescato la guerra, è contemplato l’intento di distruggere una popolazione intera: in quel caso non c’è alcuno scampo, sarà solo questione di tempo - e non di fortuna – e ogni simbolo, ogni ramo, ogni pietra che identifichino quella gente saranno estirpati come erba cattiva, affinché nulla possa rinascere.

Doveva aver chiara questa consapevolezza, Wissam, quella mattina di un paio di settimane fa, quando aveva deciso che bisognava andare, che era necessario obbedire all’ordine di evacuazione appena dato dall’esercito e seminare distanza tra i suoi passi e la sua casa che, di lì a poco, sarebbe stata sbriciolata come tutto il resto intorno, cancellando un altro pezzetto di città.

Più a est, verso l’ospedale, forse lei e i suoi figli sarebbero stati più al sicuro; del resto, anche l’essere più ignobile e disumano risparmierebbe di bombardare un ospedale, si era detta.

Si era dunque messa in cammino, a piedi, col suo figlio maggiore. Hind l’aveva invece affidata ai suoi parenti, che avrebbero percorso in auto lo stesso tragitto: era una giornata fredda e piovosa e per la piccola sarebbe stato troppo faticoso fare tutta quella strada a piedi.

Hind ha solo sei anni, e i boati delle esplosioni la terrorizzano. Il tragitto in auto e la compagnia degli zii e dei cugini l’avrebbero distratta e sarebbe arrivata prima a destinazione.

Invece non era andata così. Lungo la strada l’auto si era trovata inaspettatamente davanti i carri armati nemici. Lo zio aveva fatto una piccola deviazione, ma non era servito. Poco dopo erano giunti gli spari. Uno dopo l’altro gli occupanti dell’auto erano stati colpiti. Solo Hind e sua cugina quindicenne erano scampate. La ragazza aveva allora contattato telefonicamente il soccorso, ed era ancora al telefono quando era arrivata un’altra raffica di spari. L’operatrice telefonica li aveva sentiti distintamente insieme all’urlo della ragazza. Poi, il silenzio. Aveva richiamato e stavolta aveva risposto proprio Hind: “Qui dormono tutti” - aveva detto - “Venite a prendermi per favore? Ho paura”.

Per circa tre ore l’operatrice telefonica l’aveva intrattenuta al telefono mentre i soccorritori tentavano di raggiungerla. Intanto si era fatto buio. Hind, con la voce sempre più flebile, le aveva chiesto: “ma quant’è lontano casa tua? Perché non vieni a prendermi?”. Poi la linea si era interrotta.

Per giorni non era stato più possibile avere notizie. I militari assediavano ancora il luogo dove l’auto con a bordo Hind si era fermata e nemmeno dai soccorritori arrivavano informazioni. Quando infine, due settimane dopo, l’area era stata sgomberata, era stato possibile raggiungerla e rivelarne tutto l’orrore. Il corpo di Hind, esanime, giaceva incastrato tra quello dei suoi zii e dei suoi cugini; poco lontano dall’auto, c’era l’ambulanza distrutta e i cadaveri dei due soccorritori che erano andati a prenderla.

L’audio di Hind che chiedeva aiuto ha intanto fatto il giro del mondo, restituendo la consapevolezza e l’orrore di una guerra che non risparmia nemmeno i più innocenti tra gli innocenti.

Ed è diventato il simbolo di ogni guerra.

Perché quella di Hind è la voce di ogni bambino cui è negata l’infanzia, morto prima ancora d’aver cominciato a vivere; la sua casa e la sua città distrutta sono tutte quelle che le bombe trivellano cancellandone la geografia, a qualunque latitudine si trovino.

Allo stesso modo, ogni esercito che impone evacuazioni o esodi, sparando sulle auto dei civili in fuga per la salvezza è lo stesso barbaro esercito, indipendentemente dalla divisa che indossa; e ogni strage di innocenti compiuta, rende ugualmente colpevole ogni governo che non la contrasti e che, anzi, la sostenga, in nome di una presunta e iperbolica difesa.

Si neghino pure le etichette –genocidio, sterminio, epurazione - tanto più se, troppo audacemente, ad appiccicarle sia, dal palco di una kermesse canora, un giovane rapper con un vissuto di povertà ed emarginazione. La sostanza non cambia.
 © FISCAL FOCUS Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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