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Senza barriere

Autore: Ester Annetta
Le storie belle sono senza tempo. Non esauriscono il loro valore nel momento in cui accadono e mantengono il loro prezioso significato al di là dei contesti e persino delle persone, anche quando non sono più attuali.

Quella che ho in mente non è in verità così antica; risale appena ad una settimana fa, ed è tanto più significativa perché contrasta con il suo contesto, accendendo una luce di speranza, intensa e calda, oltre il buio della barbarie e della brutalità cui ci ha abituato la guerra in atto alle nostre porte.

E tesse un filo sottile di solidarietà, che lega tra loro Paesi ed individui lontani, senza pretesa di scambio né di mediazioni, col solo scopo di agire nel bene e per il bene. Infrangendo confini e barriere. Reali o convenzionali.

Questa storia comincia nella mia Calabria, in uno di quegli ospedali che un certo pregiudizio territoriale potrebbe far considerare inferiore o declassato rispetto a quelli che, per geografia, si tende a considerare più quotati.

Un paziente affetto da una grave forma di leucemia è in attesa di un trapianto di midollo osseo e cellule staminali emopoietiche, la sola possibilità che gli resta per poter vivere ancora.

Soltanto che l’unico donatore compatibile che un sofisticato database – in grado di trovare un “gemello genetico” incrociando i dati dei donatori di midollo osseo di tutto il mondo - è riuscito a rintracciare vive in una regione sperduta ai piedi dei monti Urali, in Russia.

Territorio di guerra. Praticamente irraggiungibile.

Eppure, quasi a voler dimostrare che alcune battaglie possono vincersi anche senza armi e che pure la salvezza di una singola vita umana ha il suo peso, specie se travalica le logiche della guerra, accade qualcosa di straordinario.

Potrebbe sembrare la sceneggiatura di un film di spionaggio bellico, se non fosse che i protagonisti non sono attori né le vicende sono inventate. Gli ingredienti ci sono tutti: la lotta contro il tempo; gli spostamenti clandestini e strategici per eludere sorveglianze e divieti; la tensione di non compiere alcun passo falso che possa mandare a monte tutta l’operazione.

Due personaggi, ignoti ed anonimi fino a quel momento, hanno in mano quel filo di solidarietà che si tende tra due terre lontane; sono gli anelli che ricongiungono i due capi della speranza: quello che affonda in un’attesa che sta esaurendo il suo tempo e quello che nasce da un dono che quel tempo può farlo ricominciare a scorrere. Restituendo la vita alla vita.

Due minuscoli eroi, due corrieri in missione speciale loro malgrado: un medico russo, che nulla sa di trapianti se non che il prezioso “dono” che deve trasportare ha le ore contate prima che diventi inutilizzabile; e un volontario, che ne sa ancor meno, e tuttavia comprende che quell’impresa così difficile può riuscire solo se farà bene la sua parte. Tra loro una zona franca – la Turchia, l’unica che entrambi possono raggiungere aggirando le barriere dell’embargo – dove il testimone di quella incredibile staffetta per la vita passerà da una mano all’altra per proseguire la sua corsa.

Immaginiamole quelle autorità dei tre diversi stati coinvolti – Italia, Russia, Turchia – che di fronte ad un gesto di solidarietà così meraviglioso ed estremo volgono lo sguardo dall’altra parte, perché per una volta il non guardare è propedeutico al bene anziché preludio del male. Per una volta le difese possono abbassarsi, le barriere possono spalancarsi, i divieti possono essere superati. Per salvare una vita. Una sola.
E poi c’è un terzo eroe, quello che continuerà a restare anonimo, ma che con il suo gesto ha dato il più prezioso insegnamento di umanità di cui l’intera vicenda e i nostri cuori si sono intrisi.

È uno sconosciuto, che in mezzo all’orrore di una guerra che, nel suo Paese, continua a immolare vittime innocenti, si è mosso contro corrente, scegliendo di dare un valore alla propria vita prima che un conflitto folle potesse annientarla e vanificarla.

Ne ha dunque staccato un pezzo – letteralmente – e lo ha donato ad un uomo a lui altrettanto sconosciuto, dall’altra parte del mondo, come fosse il ramoscello d’una fronda che, trapiantato in un terreno nuovo, può attecchire e crescere.

Vivo. Forte. Libero.

Immaginiamolo quel ramoscello: mi piace pensare che sia d’ulivo.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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