Forse non c’è luogo al mondo migliore del lago di Zurigo, per ambientare una spy-story. Al centro esatto dell’Europa che conta, fra natura, boutique, orologerie e la vita notturna della Bahnhofstrasse, il quartiere delle grandi banche, quelle che custodiscono i patrimoni dei signori del mondo assicurando una riservatezza proverbiale.
È questo lo scenario di un caso di spionaggio internazionale esploso due anni fa che aveva come epicentro “Crédit Suisse”, il gruppo bancario fondato nel 1856 da Alfred Escher: un colosso mondiale dei servizi finanziari con 47mila collaboratori che operano in 50 paesi diversi.
Tutto era nato intorno alla figura di Iqbal Khan, 45 anni, brillante e ambizioso banchiere emergente di origini pakistane alla guida della delicatissima divisione che si occupa della gestione dei patrimoni. Un manager che secondo molti stava bruciando le tappe, guadagnandosi la pole position per la carica di amministratore delegato. Ma all’improvviso, senza aver mai dato segni di irrequietezza, Khan presenta le dimissioni. Si dimette per passare alla “UBS”, la più antica e importante banca di investimento di tutta la Svizzera.
Sarebbe un normale caso di calciomercato fra aziende, che quando intravedono un talento non esitano a fare la spesa nei vivai della concorrenza. Ma Kahn non è una mezzala che può svelare la tattiche del 4-4-2, ma un banchiere rampante in grado di portarsi appresso un portafoglio clienti che vale qualche punto di Pil.
Pierre Olivier Bouée, chief operating officer di Crédit Suisse, decide di vederci chiaro: ne parla con Remo Boccali, responsabile della sicurezza, a cui affida l’incarico di assoldare un investigatore privato che a sua volta ha il compito di pedinare e spiare ogni movimento di Iqbal Khan.
È lo stesso top manager, sospettando di essere pedinato, a sporgere denuncia: la polizia ferma tre detective privati, e lo scandalo monta, aiutato dai media, che scoprono l’esistenza di antipatie professionali e personali fra Khan e Thiam. A tutto questo, giorni dopo, si è aggiunto il suicidio di uno degli investigatori, che ha lasciato in eredità all’intero settore finanziario svizzero un mezzo tsunami.
Nella speranza di salvaguardare la verginità, fu reso pubblico il rapporto conclusivo di un’inchiesta ordinata dal consiglio di amministrazione della banca allo studio legale Homburger, in cui il meccanismo della spy story era emerso con chiarezza: il 29 agosto del 2019, Pierre Olivier Bouée ordina a Remo Boccali di attivarsi per mettere sotto sorveglianza Iqbal Khan. Una decisione, si legge, “presa di propria iniziativa” senza consultare il Urs Rohner, presidente del consiglio di amministrazione ed il Ceo, Tidjane Thiam. Bouée abbozza una difesa: “L’ho fatto proteggere gli interessi della banca”, ma serve a poco: la sua testa e quella di Boccali vanno sacrificate, e saltano pochi minuti dopo.
Urs Ronher, definendo “sbagliata e sproporzionata” la decisione di mettere sotto sorveglianza Khan, ha anche aggiunto che “tutto ciò ha gravemente leso la reputazione della banca”, presentando le proprie scuse a dipendenti, clienti e azionisti di Crédit Suisse, oltre alla famiglia di Iqbal Khan.
Ora, a due anni di distanza, Credit Suisse e Iqbal Khan annunciano di aver trovato un accordo che metta la parola fine alla spy story sul lago di Zurigo. Ovviamente nessun accenno ai dettagli dell’accordo, o del risarcimento, ma è facile pensare che in ballo ci siano diversi milioni di franchi svizzeri.