Non è invidiabile la situazione in cui versa “TikTok”, la piattaforma social più amata dai giovani, diventata una sorta di pallina da ping-pong, sbalzata di continuo da una parte all’altra senza poter aggiungere parola. E nulla sarebbe, se le due parti non fossero gli Stati Uniti e la Cina, dov’è nata.
I primi, l’America, da tempo ha trasformato l’applicazione più amata dai giovani in una forma di ritorsione politica verso l’innata curiosità spionistica dei cinesi. Il 7 luglio dello scorso anno, l’allora segretario di Stato Mike Pompeo annuncia la possibilità di rendere fuorilegge TikTok entro i confini dei 50 Stati, accusandola di “minacciare la libertà” e rappresentare “un precedente pericoloso”. Si fa avanti Microsoft, che avanza una proposta d’acquisto, a cui segue la reazione di Donald Trump: sappiate che se l’acquisizione non andasse in porto, su TikTok calerà la censura.
Entrano in scena i tribunali, che congelano la faccenda fin quando a Washington cambia il vento: il 21 giugno scorso Joe Biden revoca gli ordini del suo predecessore, ordinando un’indagine di capire quali e quanti sono i reali rischi per la sicurezza nazionale.
Finita? Giammai. Nelle scorse settimane Xi Jinping, il presidente cinese dal pugno di ferro e lo sguardo vellutato ha lanciato una campagna per arrivare a controllare le società che utilizzano le informazioni personali degli utenti, viste come un modo assai ghiotto e lesto di mettere un altro alluce verso il controllo più totale del 1,4 miliardi di cinesi, e magari non solo loro. E anche a dirlo, i riflettori di Pechino si sono accesi proprio sulla “ByteDance”, la società fondata nel 2012 dall’imprenditore Zhang Yiming che grazie alle applicazioni di cui è proprietaria conta ogni giorno intorno al miliardo di utenti attivi.
La prima conseguenza è lo standby a cui è stata costretta TikTok, valutata fra 200 e 300 miliardi di dollari e ormai pronta e infiocchettata per debuttare in borsa. Una notizia confermata dal “Wall Street Journal” e “Bloomberg”, gli stessi quotidiani che avevano svelato l’arrivo di una IPO (Initial Public Offering) ancora indecisa fra New York e Hong Kong.
Il 38enne Zhang Yiming, stanco di interpretare la pallina – e forse più indolenzito dalle racchettate – poche settimane fa ha annunciato ai 100mila dipendenti le proprie dimissioni da CEO, dicendo che probabilmente gli mancano “le qualità del dirigente”. Il resto alla prossima puntata, non perdetela.
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