Ormai ci siamo: la XXXII Olimpiade, per tutti “Tokyo 2020”, è pronta a fare di tutto perché gli occhi del monto intero si spostino dal numero dei contagi a quello delle medaglie. Nel 2013, quando nel corso della 125esima sessione del CIO la scelta era caduta sull’entusiasta capitale del Giappone, nessuno avrebbe potuto immaginare l’enorme pantano di questi due anni.
Ma neanche a poche ore dall’accensione della fiaccola olimpica, le polemiche si placano. L’ultima, in ordine di apparizione, arriva da una voce decisamente altisonante: quella di Takeshi Niinami, uno dei manager più conosciuti e apprezzati di tutta l’Asia, amministratore delegato del colosso delle bevande “Suntory Holdings” e consigliere economico del premier Yoshide Suga.
In un’intervista concessa all’americana “CNN”, Niinami non è andato per il sottile, parlando di un evento che ancora prima di iniziare ha perso per strada tutto il suo appeal commerciale. L’azienda che guida con polso fermo, la più antica di produzione di bevande alcoliche e non, proprietaria di marchi come “Orangina” e del brandy “Fundador”, si è salvata per un colpo di fortuna dal disastro in cui versano molte altre società giapponesi: dopo mesi di discussioni, pareri e bilanci, la Suntory aveva deciso di non entrare nel novero degli sponsor olimpici per via dei costi. “Ci abbiamo pensato a lungo, ma la spesa economica non corrispondeva al budget che avevamo in mente”. Così, con la complicità del marketing il colosso aveva studiato un altro percorso per aumentare comunque la propria visibilità durante i Giochi, pianificando di legarsi in modo massiccio a ristoranti e bar intorno agli impianti sportivi per promuovere le sue bevande. “Ho pensato che questa occasione sarebbe stata una vetrina molto importante per noi, perché mi aspettavo l’arrivo di molti spettatori dall’estero, valutato in un aumento intorno al 10% delle vendite. Non sarà così, e credo che le perdite economiche saranno abissali”.
La pensano come lui analisti di peso come Takahide Kiuchi, economista del Nomura Research Institute, secondo cui la scelta delle gare a porte chiuse potrebbe costare all’economia giapponese 146,8 miliardi di yen, più o meno 1,3 miliardi di dollari: “Già lo scorso marzo, quando è stato vietato agli spettatori stranieri di raggiungere il Giappone, gran parte del potenziale economico atteso dai Giochi di Tokyo è svanito: una decisione che secondo le previsioni ha causato perdite economiche di 1,4 miliardi di dollari”.
Nonostante gli stretti legami di Niinami con il governo giapponese, il manager non risparmia le critiche: “Non so perché non siano stati rinviati, anche in funzione del ritardo della campagna di vaccinazione e dell’ondata di caldo che sta investendo Tokyo”.
Ma i fuochi accesi erano ormai troppi per pensare di spegnerli, e anche se a malincuore, il Giappone ha dovuto accettare a denti stretti le Olimpiadi più difficili dell’era moderna. Michael Payne, ex capo del marketing presso il Comitato Olimpico Internazionale, ha ammesso che per gli sponsor è una strada in salita: “Non ha senso indorare la pillola, questa non è una situazione ideale, ma potrebbe ancora esserci qualche impresa sportiva capace di ribaltare un destino che sembra già scritto”.
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