7 novembre 2020

Una ricchezza chiamata vecchiaia

Autore: Ester Annetta
Tra i tanti Presidenti di Regione che, a turno, si accaparrano la scena mediatica, ce n’è stato uno che pochi giorni fa lo ha fatto affidando ad un social una dichiarazione cinica ed aberrante, secondo cui la maggioranza dei morti di questa pandemia sono persone «per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese».

L’inevitabile sequela di commenti biasimevoli che ne è discesa ha indotto il maldestro assertore, anzitutto, a scaricare la colpa sull’ingenuo e inesperto collaboratore di turno e, poi, a dichiarare che, lungi dal riflettere, quel messaggio, il proprio pensiero, ci sarebbe stato un fraintendimento. Ha perciò prontamente fornito un’”interpretazione autentica” (come si direbbe con lessico giuridico, sebbene in questo caso lo stridio di specchi graffiati e l’odore di frittata rigirata parrebbero avere la meglio…) di quell’infelice affermazione che voleva invece essere nientemeno che protezionistica.

Il suo significato corretto sarebbe stato, in sintesi, che non è piacevole chiedere sacrifici alla popolazione, ma per il bene comune, presente e futuro, è più giusto adottare politiche che contengano il danno proteggendo i più fragili e più esposti; l’urto dell’emergenza sanitaria e della crisi economica e sociale deve perciò essere portato da chi le forze le ha, proteggendo chi non le ha.

Qualche sera dopo, un vice ministro, nel corso di un’intervista Gruberiana, è tornato sull’argomento per rimarcare come, all’opposto di quanto proclamato dal tanto criticato post, gli anziani siano un tassello importantissimo della mappa economica del Paese.

Il succo del suo discorso era che, per moltissimi genitori che lavorano, gli anziani (leggasi i nonni) rappresentano una risorsa presso cui collocare bambini che, altrimenti, dovrebbero essere affidati alle cure di baby sitter o strutture private. Il risparmio di spesa che ne consegue si tradurrebbe quindi in un vantaggio economico e, dunque, in una ricchezza.

Ora, senza voler oltre soffermarsi sulla portata delle affermazioni citate, altro è l’aspetto che più induce alla riflessione: la triste presa d’atto che la polemica innescatasi sia stata affrontata in termini esclusivamente economici, senza alcun risvolto emotivo, sentimentale, umano.

Com’è possibile che l’importanza degli anziani – dei nostri anziani – sia valutata esclusivamente col metro dell’utilità economica piuttosto che col peso dell’affettività?

L’epoca attuale, incasellata in una cornice neoliberista con la sua spietata ideologia produttiva, ha favorito la concezione che chi non produce non serve, tanto più se con la sua pensione va a danno dei giovani, rubando loro il futuro.

Il Covid ha alimentato questa visione, contribuendo, per alcuni versi, anche ad accrescere il conflitto tra giovani e vecchi: non sono forse questi ultimi a saturare le terapie intensive e a morire? Se non fosse per i loro numeri il virus forse sarebbe poco più che una banale influenza, tant’è che i giovani che muoiono e si ammalano gravemente sono pochissimi…

E, ancora: se per tutelare la popolazione anziana dai contagi vengono imposte regole quali il “coprifuoco”, il prezzo da pagare è solo a carico dei giovani che vedono sacrificata la loro relazionalità, non certo per i vecchi cui quel vincolo orario non cambia nulla, visto che stanno comunque a casa!

Sconcertano questi pensieri. Sconcerta ancor più che una generazione straordinaria - quella nata a partire dal secondo dopoguerra e fino alla metà degli anni sessanta, i c.d. baby boomer - che è stata protagonista di un tempo in cui si è osato, che l’economia l’ha fatta davvero decollare col suo grande spirito d’iniziativa, che ha vissuto pienamente, allargando i margini stessi della vecchiaia tanto da renderla una tappa d’esistenza in cui tante cose sono ancora possibili (i due contendenti alla Presidenza degli Stati Uniti d’America ne sono una dimostrazione!), sia all’improvviso diventata un peso sociale, sanitario ed economico da abbattere.

E sconcerta, anche, che si perda di vista la grande ricchezza sociale e culturale che quella generazione, insieme ai superstiti della generazione ancora precedente, tuttora rappresenta.

I nostri anziani non sono solo parte delle nostre famiglie: sono anche una ricchezza della società, per il vissuto che possiedono e per le relazioni sociali che hanno tessuto nella loro storia; sono le fondamenta su cui si è eretto il nostro presente.

Nella sua bellissima “Lettera agli anziani”, Papa Giovanni Paolo II affermava che, nella situazione attuale, "presso alcuni popoli la vecchiaia è stimata e valorizzata; presso altri, invece, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l'utilità immediata e la produttività dell'uomo"; questi ultimi hanno dimenticato, evidentemente, come "gli anziani aiutano a guardare alle vicende terrene con più saggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e maturi. Essi sono custodi della memoria collettiva, e perciò interpreti privilegiati di quell'insieme di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato, in cui affondano le radici del presente, in nome di una modernità senza memoria".

Non hanno meno diritto dei giovani, gli anziani, a condurre una vita dignitosa e a partecipare, alla vita sociale e culturale del Paese; magari in maniera diversa, nei modi e nei tempi, ma sicuramente non meno utilmente.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha persino redatto, nel 1992, la “Dichiarazione sull'Invecchiamento” e la “Proclamazione sull'invecchiamento” contenuta nella risoluzione 47/5, con cui ha proposto che l'intera popolazione venga coinvolta nella «preparazione agli stadi successivi della vita» e che «le generazioni vecchie e nuove cooperino per creare un equilibrio tra la tradizione e l'innovazione nello sviluppo economico, sociale e culturale». Anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000, ha previsto, all'articolo 25, rubricato “Diritti degli anziani”, che «L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale».

Eppure si continua a trascurare il valore della ricchezza che i vecchi rappresentano ed a negare loro dignità; si rincorrono obiettivi sempre più estremi, si adorano gli idoli del progresso e della tecnologia nell’illusione che possano renderci immortali, mentre la vera immortalità è racchiusa nell'esperienza, tramandata da generazione in generazione, nella memoria.

Dovremmo allora riconoscere il valore delle persone anziane; dovremmo rispecchiarci nel loro vissuto per comprendere il nostro presente; dovremmo ricordarci che sono stati loro ad aver tracciato la strada che ci ha condotti dove ora siamo e dove ancora andremo e che “non c'è futuro senza memoria”.

Soprattutto, non dovrebbe essere una fatica amarli.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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