Torna a sanguinare l’America, anche durante i festeggiamenti per l’Indipendenza. Almeno sei vittime, più di trenta feriti: nonostante sia stato arrestato il giovane responsabile della sparatoria alla parata del 4 luglio di Highland Park, in un sobborgo di Chicago, cresce l’allerta negli USA. Proprio nelle ore dopo l’ennesima violenza, infatti, Gun Violence Archive ha diffuso i dati relativi al 2022: sarebbero già 311, dall’inizio dell’anno, le stragi avvenute sul suolo statunitense. Quello più violento sarebbe stato invece lo scorso di anno, da quando l’Archivio sulle violenze da armi da fuoco ha iniziato a registrare questi episodi nel 2014, con 692 fatti di sangue. Atti di violenza senza senso, per usare le parole del presidente Biden, che continuano a ripetersi senza che la politica prenda seri provvedimenti. Una vera e propria epidemia quelle delle armi da fuoco in America, con un pressing sempre più incalzante sulla firma alla legge bipartisan che possa mettere dei limiti al moltiplicarsi di eventi come questo.
Un diritto costituzionale -“Una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero e dunque il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere violato", recita il Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, mettendo il lucchetto a un diritto di cui sempre più di frequente si fa abuso. Circa 357 milioni di armi per 332 milioni di persone. Ci sono quindi 120 armi ogni 100 persone, in una ‘classifica’ che vede al secondo posto lo Yemen con 53 armi ogni 100 persone, poi la Serbia con 39. In Italia ci sono 14 armi ogni 100 persone.
Si esce più frequentemente da un negozio avendo acquistato armi e munizioni di quanto non si entri in un locale, sotto i 21 anni. Si acquista un’arma con più facilità di quanto si perda la patente per un’infrazione o di quanto non si compri un antibiotico. In America ci sono il 40% delle armi di tutto il mondo in mano ai civili, per una popolazione che è il 5% di quella globale. Un mercato in continua crescita, impennato dopo la pandemia, dopo il timore di disordini sociali e di restrizioni, e che preoccupa perché cresce in risposta a ogni strage di cui si ha notizia. Una tendenza confermata anche, per esempio, da una delle ultime sentenze della Corte Suprema. "Dal momento che lo stato di New York concede autorizzazioni a portare le armi in pubblico solo a chi dimostra di aver una speciale esigenza di autodifesa, concludiamo che questo regime viola la Costituzione", si legge nella sentenza scritta da Clarence Thomas e appoggiata dagli altri cinque giudici di orientamento conservatore, con i tre liberali contrari, togliendo il freno alla circolazione di armi nello Stato.
Un business miliardario - Dal 2010 al 2020, prendendo in esame le 100 aziende più forti del settore, l’Industria delle armi ha fatturato circa cinquemila miliardi di dollari, secondo i dati disponibili nel database della Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Dal 2014 al 2015 si è denotato un rafforzamento delle vendite, con un aumento del 7,68%. Dal 2015, poi, la crescita non si è mai arrestata: un importo imponente e peraltro in continua crescita, considerando anche le dinamiche internazionali che sono risultate dal conflitto tra Russia e Ucraina.
La risposta delle istituzioni - A mettere un freno si è affacciata la Bipartisan Safer Communities Act, volta a introdurre alcune piccole limitazioni alla loro vendita e al loro possesso: fino a 10 giorni feriali per controllare gli eventuali precedenti penali e le informazioni sulla salute mentale delle persone minori di 21 anni interessate a comprare un’arma. Inoltre, grossi investimenti per finanziare le operazioni di confisca, oltre ad iniziative a tutela della salute mentale. Un confronto ultra-politicizzato, quello sulla disponibilità delle armi e sulle conseguenze di questo prolifico mercato, con una spinta emotiva che, dopo ogni strage, non è comunque abbastanza forte da filtrare le maglie dell’opinione pubblica e invertire la tendenza. Un cambiamento che si scontra con ostacoli legislativi, culturali ed economici.
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