L’annuncio del suo imminente arrivo era stato dato lo scorso settembre, nel corso dell’annuale conferenza degli sviluppatori Apple; il CEO, Tim Cook, in un video trasmesso all’inizio dell’evento, aveva creato la giusta suspense dichiarando «Oggi faremo uno dei più grandi annunci di sempre alla Wwdc».
Un’ora e mezza più tardi, dopo l’illustrazione di altri prodotti a targa Cupertino, un secondo video aveva presentato la nuova creatura: Vision Pro, «il primo prodotto Apple nel quale si guarda da dentro, non di fronte».
Le immagini mostravano un’avvenente donna vestita di bianco, distesa su un divano, con indosso un visore, cui impartiva comandi col solo movimento degli occhi, puntando una delle note icone Apple e facendo movimenti in aria con le dita. Insomma, tutto “virtuale”, senza alcun controller.
Fedele alla promessa, ecco che venerdì scorso l'Apple Vision Pro ha fatto la sua comparsa sul mercato statunitense, al modico costo di 3500 dollari, accessori esclusi. E ha fatto subito parlare di sé.
Il motivo non è stato tanto l’esosità del prezzo: nulla di sorprendente o di diverso dai consueti listini abbinati al primo lancio d’ogni nuovo e avveniristico prodotto della Casa.
Ad inquietare è stato piuttosto l’impiego stesso dello strumento che, introdotto nella quotidianità di chi si è potuto permettere di comprarlo, ha immediatamente evidenziato risvolti ben diversi ed ulteriori rispetto a quelli proposti dallo spot di presentazione lanciato a settembre. Difatti, se lì il contesto d’utilizzo era il “recinto sicuro” del salotto di una casa, le scene che sono state riprese (e subito diventate virali sui social e nel web) già nelle prime ore successive all’avvio delle vendite del nuovo giocattolo hi-tech, ne hanno invece mostrato un uso più diffuso e, per molti versi, preoccupante.
Per comprendere la natura di tale allarme va preliminarmente chiarito il funzionamento del visore: si tratta sostanzialmente di un apparecchio che permette di fondere il mondo reale con quello virtuale, consentendo dunque una visione “ibrida” in cui oggetti fisici coesistono con altri digitali.
Tecnicamente la si definisce “realtà aumentata” dal momento che lo spazio ed il contesto reale sono implementati da elementi (icone) attraverso cui, in simultanea e “accavallati” alla realtà, si possono svolgere le stesse funzioni che solitamente si compiono con uno smartphone o un tablet: scrivere messaggi, aprire pagine web, guardare video, telefonare, ecc. Ma il tutto “dal di dentro” e senza dover azionare pulsanti, leve o comandi fisici.
Per avviare l’apertura dell’icona che interessa, basta puntarci sopra lo sguardo; dopodiché, “pizzicando” l’aria, sfogliando pagine immaginarie, muovendo le dita su una tastiera invisibile, il comando corrispondente viene eseguito al suo interno. Il tutto “in sovrimpressione” a quanto c’è intorno.
Quando – sempre la Apple – lanciò i primi auricolari senza filo, per strada si incontravano bizzarri personaggi che sembrava parlassero da soli.
Lo stesso avviene ora con quanti indossano il visore e camminano gesticolando nel nulla.
Ma è una stravaganza alla quale, col tempo – e come è avvenuto appunto con gli auricolari – non si farà più caso.
Non può invece non preoccupare il pericolo che questo nuovo strumento può rappresentare quando venga utilizzato mentre si è alla guida di un’auto, come mostrano molti dei video che stanno circolando in questi giorni.
Mio figlio – che è sempre molto sensibile al fascino della tecnologia – me ne ha mostrato qualcuno, e la prima domanda che gli ho posto, sforzandomi di non apparire troppo boomer, è stata proprio come sia possibile per chi guida indossando un visore non confondersi e non distrarsi. Ha ammesso anche lui che il rischio c’è.
In effetti, tutto ciò che scorre sopra l’immagine della realtà (video, messaggi, ecc.) la relega, appunto, in secondo piano e, tra l’altro, la riduce, poiché il visore costringe ad una visione “a tunnel”: fa cioè notare solo quanto è al centro dell'immagine escludendo la visione laterale.
Ma non è questo il solo rischio.
Da convinta sostenitrice dell’importanza delle relazioni umane, fatte di parole, sguardi, contatto, il timore che ritengo maggiore è quello d’essere al cospetto di un ulteriore “dissuasore affettivo”, di un mezzo che potrà aggravare la tendenza all’isolamento ed all’alienazione, già alquanto tipica ed allarmante nelle nuove generazioni.
Più che di “realtà aumentata” sarei tentata di dire che quella che si prospetta, nel prossimo futuro, sia l’incremento della “realtà alterata”.
Ed in tal senso sono poco consolanti – e sembrano anzi una triste profezia – gli slogan che si leggono sulle pagine del sito web di Apple: “E se la linea che separa la tua fantasia da ciò che è reale non esistesse? Con la realtà aumentata, questo è possibile. Di più, è un’esperienza che puoi vivere qui e ora. Puoi trasformare il tuo modo di lavorare, imparare, giocare, fare shopping e vivere il mondo che ti circonda, e vedere cose che altrimenti sarebbero difficili o impossibili perfino da immaginare.”
C’è poco da stare tranquilli.