18 maggio 2018

Agenzie fiscali. Sì al licenziamento per la consulenza in favore di terzi

Massima sanzione per il funzionario che fa consulenza fiscale e riserva un trattamento preferenziale ad alcuni utenti

Autore: Paola Mauro
È giusto licenziare il funzionario dell’Agenzia delle Entrate che, in maniera abituale, svolge attività di consulenza in favore di terzi estranei all’amministrazione (nella specie, Studi professionali), così offrendo un canale privilegiato per la soluzione dei problemi fiscali e tributari.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione (Sez. L.), con la Sentenza n. 11160/2018, tenuto conto degli obblighi di trasparenza, indipendenza e imparzialità gravanti sul personale delle Agenzia fiscali.

Il caso deciso dalla sentenza in esame riguarda un (ormai ex) dipendente dell’Agenzia delle Entrate – con incarico dirigenziale di Capo Settore Servizi e Consulenza della Direzione Generale della Lombardia – che ha impugnato, senza successo, il licenziamento scaturito da condotte che i giudici di appello hanno ritenuto talmente gravi da meritare di essere punite con la massima sanzione disciplinare.

Il D.P.R. n. 18 del 2002 (“Regolamento per il personale delle Agenzie fiscali”) pone il divieto per i dipendenti delle Agenzie fiscali di svolgere, indipendentemente dal carattere oneroso o gratuito, le attività descritte in maniera analitica dall'articolo 4, che regola il regime di “Incompatibilità e conflitto di interessi". I commi 1 e 2 della norma, rispettivamente, stabiliscono:
  • «Fermo restando quanto previsto dalla normativa di legge e di contratto in materia di incompatibilità e di cumulo di impieghi, il personale delle agenzie fiscali non svolge attività o prestazioni che possano incidere sull'adempimento corretto e imparziale dei doveri d'ufficio, e non esercita, a favore di terzi, attività di consulenza, assistenza e rappresentanza in questioni di carattere fiscale, tributario e comunque connesse ai propri compiti istituzionali»;
  • «Al personale delle agenzie è inibito lo svolgimento, in particolare, delle attività fiscali o tributarie proprie o tipiche degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro, nonché delle attività relative a servizi contabili e elaborazione dati, nonché a servizi di certificazione delle firme elettroniche o altri servizi connessi a tali firme, di informazione commerciale, delle attività proprie o tipiche degli ingegneri, architetti, geometri, periti tecnici, consulenti immobiliari, agenti immobiliari e delle attività relative a servizi connessi agli immobili, nonché delle attività proprie o tipiche degli spedizionieri doganali, e di ogni altra attività che appaia incompatibile con la corretta ed imparziale esecuzione dell'attività affidata all'Agenzia fiscale».

Nel caso che ci occupa – secondo quanto appurato in sede giudiziale -, sebbene il lavoratore si fosse obbligato, al momento dell'assunzione dell'incarico dirigenziale, a conformare la propria condotta ai principi di cui al D.P.R. n. 18 del 2002, ha poi prestato per lungo tempo, in modo costante e sistematico, al di fuori del tramite istituzionale, abituale attività di consulenza fiscale e tributaria in favore di Studi professionali operanti nell'area territoriale di competenza, con utilizzazione dei loro uffici e delle loro utenze telefoniche, e inoltre si è occupato di casi specifici offrendo un canale privilegiato per la soluzione dei problemi fiscali e tributari, «per tal via incidendo sul corretto ed imparziale adempimento degli obblighi inerenti alla funzione ricoperta».

I comportamenti sopra descritti, ai giudici di appello, sono apparsi idonei a ledere in maniera irrimediabile la fiducia sulla futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa – quindi tali non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto - perché posti in essere «deliberatamente» e perché sintomatici del concreto atteggiarsi del dipendente «nei confronti degli obblighi di trasparenza, indipendenza ed imparzialità» imposti da norme di legge, di regolamento e dalla contrattazione collettiva.

Ebbene, il giudizio valoriale di gravità della condotta addebitata e posta a base del licenziamento e di proporzionalità tra questa e la sanzione risolutiva, formulato dalla Corte territoriale, ha trovato l’approvazione dei giudici della Suprema Corte, che danno atto della corretta applicazione, da parte della sentenza impugnata, dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di licenziamento disciplinare dei pubblici dipendenti.

Per gli Ermellini, inoltre, la Corte territoriale, diversamente da quanto opina il ricorrente, ha ricostruito le norme disciplinari applicabili al rapporto dedotto in giudizio in piena conformità alle previsioni del C.C.N.L., e ha giustamente escluso la rilevanza del carattere gratuito delle prestazioni, atteso che il divieto imposto ai dipendenti delle Agenzie fiscali dall'articolo 4 del D.P.R. n. 18 del 2002 vale per le attività ivi individuate, «onerose o gratuite che siano».

Ne è conseguito il definitivo rigetto del ricorso del lavoratore, che comunque non è stato condannato al pagamento delle spese dell’ultimo grado di giudizio, in quanto l’Agenzia delle Entrate non ha svolto alcuna attività difensiva.

Un precedente. Sullo stesso argomento si segnala la Sentenza n. 7926/2017, sempre della Sezione Lavoro della Suprema Corte, con cui è stato confermato il licenziamento intimato a un addetto all’area controllo settore registro dell’Agenzia delle Entrate che, oltre ad aver svolto attività di consulenza fiscale a favore di terzi, ha garantito un trattamento di favore allo Studio professionale presso cui lavorava la moglie, fornendo informazioni tramite interrogazione dell’Anagrafe tributaria.
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