La previdenza complementare in Italia continua a non decollare: soltanto un lavoratore su tre decide di dirottare i propri risparmi e il TFR verso fondi pensione o piani individuali di accumulo. È quanto emerge da un’indagine condotta dalla società di consulenza Moneyfarm, la quale evidenzia una marcata discrepanza tra le intenzioni espresse e le azioni concrete intraprese.
Dall’analisi condotta risulta infatti che l’85% del campione si dichiara assolutamente favorevole alla previdenza integrativa, riconoscendone l’utilità, il 59% ritiene che investire in un fondo pensione sia più sicuro rispetto a lasciare il TFR accumulato in azienda, soprattutto se questa non gode di basi economiche sufficientemente solide per affrontare eventuali periodi di crisi senza comprometterne la stabilità.
Perché, allora, nonostante un’impressione prevalentemente positiva, la previdenza integrativa continua a essere guardata con diffidenza? La risposta, probabilmente, non è univoca. In primo luogo, manca una corretta educazione finanziaria in materia: molti lavoratori dipendenti non sono consapevoli della possibilità di conferire il proprio TFR in un fondo negoziale, mentre altri ritengono più vantaggioso disporre di un capitale immediatamente esigibile, lasciato da parte dall’azienda, piuttosto che vincolarlo in fondi pensione soggetti a restrizioni.
È ormai noto che, lasciando il capitale in azienda, in caso di licenziamento o dimissioni è possibile riscattare il 100% del TFR, mentre con la previdenza complementare il capitale può essere sbloccato solo dopo quattro anni di disoccupazione. Tuttavia, è fondamentale ricordare che il TFR liquidato dall’azienda subisce una tassazione Irpef compresa tra il 23% e il 43%, con una conseguente perdita economica di non poco conto. Al contrario, nella previdenza complementare, il capitale accumulato resta invariato anche in caso di cambio di impiego, e l’unica tassazione applicabile sarà quella finale, al momento del raggiungimento della pensione, con un’aliquota compresa tra il 9% e il 15%.
Vi sono inoltre altri aspetti rilevanti da considerare, come la possibilità di anticipare il capitale più volte nel corso degli anni, contro l’una tantum prevista per il TFR lasciato in azienda, senza perdere di vista i rendimenti; è sufficiente osservare che, negli ultimi dieci anni, il TFR lasciato in azienda si è rivalutato tra il +2,3% e il +4,8%, a fronte di un rendimento superiore registrato dai piani pensionistici privati.
Investire nella previdenza complementare, dunque, può rappresentare una scelta più lungimirante e strategica, soprattutto per chi desidera costruire una sicurezza economica solida per il futuro. Tuttavia, per superare l’ostacolo della sfiducia, è necessario un maggiore impegno in termini di informazione e sensibilizzazione dei lavoratori.
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