A oltre 7 anni di distanza dalla Circolare 61/E/2010, capita ancora di imbattersi in trust che non risultano compliant rispetto alla questione dell’interposizione, così come delineata dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 61/E/2010.
Va indubbiamente ricordato come le tesi dell’Amministrazione rappresentino una posizione di parte, peraltro non sempre condivisibile. Tuttavia, sorprende il fatto che in molti casi si rinvengono in atti di trust clausole che non solo porteranno a possibili contestazioni del fisco, ma che risultano peraltro non conformi a quella che potremmo inquadrare come la best practice.
Quello che il disponente tende a non accettare in alcuni casi è lo spossessamento dei beni. Talora, leggendo l'atto di trust, traspare una diffidenza verso l'istituto: pare che il disponente lo abbia fatto per forza, magari per sfuggire ai propri creditori, ma che in realtà l'istituto non rientri nelle sue corde. Manca la reale volontà di spossessarsi, il trustee è un parente stretto, il guardiano è magari lo stesso disponente, dentro il trust ci sono solo nude proprietà.
Nel corso degli anni si è sviluppato anche il caso del trustee professionale che di fatto asseconda le richieste del disponente senza porsi in una chiave critica.
Si sa! Il cliente ha sempre ragione! In questo caso però il principio è assolutamente sbagliato. Senza spingerci verso il trust sham, ossia nullo, questa situazione sfocia spesso nel tema dell'interposizione o del rischio della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte o dell'azione revocatoria.
L’Agenzia delle Entrate evidenzia correttamente che se il trustee, anche in base a situazioni di fatto,
non è libero di operare con autonomia in quanto il disponente conserva importanti poteri di controllo sui beni in trust, egli ne risulta di fatto l’effettivo titolare ed i redditi da questi prodotti devono essergli imputati a seconda delle diverse categorie reddituali. Queste indicazioni, sicuramente condivisibili, appaiono in linea con la R.M. 17.1.2003, n. 8 che, seppur emanata prima della disciplina fiscale dei trust, appare ancora attuale.
Proponiamo di seguito alcuni esempi.
Esempio n. 1
Tizio istituisce un trust disponendovi alcuni immobili ed indicando come beneficiari dei beni i discendenti. Il trust dura fino alla morte di Tizio. Il trustee è Caio ma, dall’atto di trust, emerge che questi deve ottenere l’autorizzazione del disponente per compiere molte tipologie di atti. Il disponente conserva una eccessiva ingerenza e quindi il trust può essere considerato interposto.
Esempio n. 2
Tizio istituisce un trust disponendovi alcuni immobili ed indicando come beneficiari dei beni i discendenti. Il trust dura fino alla morte di Tizio. Il trustee è Caio e, a differenza del caso precedente, l’atto di trust non riserva alcun potere autorizzatorio al disponente per compiere molte tipologie di atti.
La Circolare n. 61/E/2010, riprendendo la Circolare 48/E/2007, precisa che il beneficiario del reddito individuato è il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale per cui deve risultare titolare del diritto di pretendere dal trustee il pagamento di quella parte di reddito che gli viene imputata.
In sede di controllo, tuttavia, emerge che Caio è un parente o un amico di Tizio che non sa nemmeno cosa sia un trust, né quali siano i suoi poteri. Per compiere qualsiasi attività chiede sempre a Tizio.
Questa potrebbe essere una situazione in cui il trust è interposto in base a situazioni di fatto.
Esempio n. 3
Tizio istituisce un trust disponendovi alcuni immobili ed indicando come beneficiari dei beni i discendenti. Il trust dura fino alla morte di Tizio. Il trustee è una trust company professionale che, nel rispetto dell’atto istitutivo, si consulta con il guardiano chiedendo a questi le autorizzazioni previste dall’atto. Il disponente non si ingerisce nella gestione. Questo è un trust non interposto.
La Circolare n. 61/E/2010 precisa in modo grossolano che “i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere a disposizione del disponente né questi può in nessun caso beneficiare dei relativi redditi”.
Laddove si indica che i beni non possono continuare ad essere a disposizione del disponente, si deve intendere nel senso che questi perde il potere decisionale sul patrimonio trasferito al trustee, ma non ovviamente che non possa usufruirne (ad esempio la casa di abitazione) o che non possa beneficiare dei frutti da questi prodotti: lo spirito deve essere quello di colpire i trust costituiti per il mero risparmio fiscale dove i frutti, che vengono attribuiti al disponente, rappresentano la maggior parte del patrimonio del trust.
La successiva tabella riporta le situazioni proposte dall’Agenzia nelle quali si configurerebbe l’interposizione. Le prime 5 erano già apparse nella Circolare 10.10.2009, n. 43 uscita in tema di scudo fiscale.
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