10 aprile 2025

Compensi del liquidatore. Profili deontologici nel recupero giudiziale

Autore: Paola Mauro
L’iscritto nominato liquidatore di una società dal Tribunale per le Imprese è opportuno che si dimetta dall’incarico prima di procedere al recupero giudiziale dei compensi. Lo si ricava dalla lettura del P.O. n. 17/2025 mediante il quale il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha risposto a un quesito concernente l'articolo 22 del Codice Deontologico.

La norma citata stabilisce: «1. Il professionista non deve proseguire nello svolgimento dell’incarico qualora sopravvengano circostanze che possano influenzare la sua libertà di giudizio, condizionare il suo operato, come nel caso di mancato pagamento dei suoi onorari o il rimborso delle spese sostenute, ovvero porlo in una situazione di conflitto di interessi o far venir meno la sua indipendenza od obiettività. 2. Il professionista non deve proseguire nell’assolvimento dell’incarico se la condotta o le richieste del cliente, ovvero altri gravi motivi, ne impediscono il corretto svolgimento.»

Ciò posto, lo scrivente Ordine territoriale ha chiesto se, «ai sensi dell'art 22 del Codice Deontologico un iscritto, nominato dal Tribunale per le Imprese Liquidatore di una società, debba dimettersi dall’incarico prima di agire in giudizio nei confronti della società in liquidazione di cui è stato nominato Liquidatore.»

Ebbene, premesso il ruolo dei Consigli di Disciplina, che in materia di interpretazione delle norme del Codice deontologico godono di autonomia decisionale (D.L. n. 138/2011, conv. L. n. 148/2011 e D.P.R. n. 137/2012), il CNDCEC ha formulato le seguenti considerazioni di carattere generale.

Nel P.O. n. 17/2025 si fa notare che l’articolo in questione prescrive il dovere per il professionista di non proseguire nell’incarico qualora vi siano situazione idonee a influenzare il suo giudizio, condizionarne l’operato oppure che possano creare situazioni di conflitto di interesse, il che potrebbe accadere – puntualizza il C.N. - «nell’ipotesi in cui l’iscritto agisca personalmente in giudizio contro la società di cui esso, quale Liquidatore, è legale rappresentante pro tempore ai sensi dell’art. 2310 c.c. o dell’art. 2489 c.c.»

La circostanza – prosegue il documento - che la nomina di liquidatore della società provenga dal Tribunale ai sensi dell’art. 2275 c.c. (riguardo alle società di persone) o dell’art. 2487 c.c. (riguardo alle società di capitali) anziché dai soci non esime il professionista che rivesta tale incarico professionale dal rispetto del Codice deontologico, visto che i principi e i doveri in esso previsti si applicano nei confronti degli iscritti «nell'esercizio della professione e nei rapporti con i clienti, i colleghi, gli altri professionisti e i terzi, a tutela dell’affidamento della collettività e dei clienti, della correttezza dei comportamenti, nonché della qualità ed efficacia della prestazione professionale a prescindere dal soggetto che l’ha nominato.»

Ai sensi dell’art. 1, c. 2, lett. a), D.lgs. n. 139/2005, la liquidazione di aziende, patrimoni e beni rientra nelle attività oggetto della professione, come conferma – si legge, infine, nel P.O. - la giurisprudenza di legittimità che, seppur con riferimento alla nomina dell’iscritto a Curatore, ha affermato che accanto a una responsabilità interna alla procedura fallimentare a carico del Curatore dottore commercialista, suscettibile di provocare la revoca dell'incarico, lo stesso resta comunque soggetto a una responsabilità disciplinare da parte del suo Ordine nel caso di infrazioni disciplinari, in quanto l'attività di Curatore costituisce comunque una forma di esplicazione dell'attività professionale propria della professione al cui Albo è iscritto il professionista.

Nello stesso senso si sono espressi i P.O. n. 270/2015 e P.O. n. 139/2023 del CNDCEC.
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