Arrivano puntuali le risposte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai dubbi sollevati dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (CNO), rispetto ai chiarimenti forniti, in materia di risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti, dalla Circolare n.…
Dimissioni di fatto
Attraverso l’introduzione del comma 7-bis all’articolo 26 del D.lgs. n. 151/2015, il Collegato Lavoro (legge n. 203/2024) ha previsto le cosiddette dimissioni per fatti concludenti (o dimissioni implicite), che consentono al datore di lavoro di ricondurre un effetto risolutivo all’assenza ingiustificata del lavoratore, prolungata oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre i quindici giorni.
L’effetto risolutivo, tuttavia, non discende automaticamente dall’assenza ingiustificata, ma si verifica solo nel caso in cui il datore di lavoro decida di prenderne atto, valorizzando la presunta volontà dismissiva del rapporto da parte del lavoratore e facendone derivare la conseguenza prevista dalla norma.
Chiarimenti sul limite dei giorni di assenza
Quanto ai giorni di assenza ingiustificata necessari a perfezionare le dimissioni di fatto, i Consulenti del Lavoro, in dissenso rispetto ai chiarimenti della Circolare n. 6/2025, ritengono che il limite legale di 15 giorni previsto dalla norma dovrebbe avere natura residuale e operare solamente in mancanza di previsioni nel CCNL. La contrattazione collettiva, pertanto, potrebbe individuare limiti minimi inferiori a detto termine.
Sul punto, il Ministero del Lavoro, concordemente a quanto espresso dal CNO, ha confermato che il termine legale opera in via residuale, in assenza di previsione contrattuale. Il Dicastero, in particolare, stante l’espressione utilizzata dal legislatore, per cui detto termine deve ritenersi “in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni” ha mantenuto un approccio prudente, ossia quello della non agibilità della previsione di termini inferiori da parte della contrattazione collettiva.
Conseguenze del mancato ripristino del rapporto per insufficiente prova del lavoratore
Per quanto riguarda i dubbi sollevati in merito alla soluzione da adottare qualora il datore di lavoro non proceda al ripristino del rapporto ritenendo insufficiente la prova offerta dal lavoratore o non condividendo la verifica dell’Ispettorato o ancora nell’ipotesi di presentazione delle dimissioni per giusta causa successivamente alla procedura, il Ministero ha chiarito che:
- nel caso in cui, superato il termine per l’assenza ingiustificata e comunicata la circostanza all’Ispettorato territorialmente competente, quest’ultimo verifichi l’assenza dei presupposti richiesti dalla nuova norma, il rapporto deve essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro;
- qualora, invece, il lavoratore – successivamente all’avvio della procedura, ma prima che questa abbia prodotto l’effetto dismissivo -comunichi le proprie dimissioni, queste produrranno effetto dal momento del loro perfezionamento. Se, poi, il lavoratore abbia rassegnato le dimissioni per giusta causa, la verifica della sussistenza delle ragioni sottostanti l’atto di recesso del lavoratore potrà essere oggetto di successivo contraddittorio tra le parti, presso le sedi consuete, compresa quella giudiziale.
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