24 ottobre 2013

BEATA IGNORANZA

A cura di Antonio Gigliotti

Nei giorni scorsi, dedito alla mia consueta abitudine di leggere i giornali di buon mattino, mi sono imbattuto in una condivisibile dichiarazione del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il quale sosteneva che, invece di correre dietro a deboli misure normative, il governo avrebbe dovuto investire sulla formazione dei giovani. La formazione veniva quindi presentata come la vera chiave per aprire l’Italia alla crescita economica e sociale, dopo anni di crisi e recessione. Il numero uno di Bankitalia ricordava infatti che recenti studi condotti dall’istituto avevano fatto emergere “chiaramente che la propensione a investire in nuove tecnologie è ridotta dalla difficoltà che le imprese incontrano nel trovare competenze adeguate nel mercato del lavoro; ne discende un minore rendimento dell'investimento in capitale umano adeguato alle nuove tecnologie e quindi una minore offerta, che acuisce le difficoltà delle imprese e ne frena ulteriormente la domanda. Quasi metà del divario nella quota di laureati tra Italia e Germania è attribuibile a questo tipo di interazioni”. E per venir fuori da questa impasse, secondo Visco occorrerebbe “rimuovere gli ostacoli all'incontro efficiente di domanda e offerta di competenze. Da un lato, vi possono essere problemi informativi. Consapevoli della bassa qualità media del capitale umano e incapaci di valutare se un candidato disponga o meno delle competenze necessarie, le imprese potrebbero rispondere offrendo retribuzioni mediamente basse e uniformi e limitando gli investimenti in nuove tecnologie”. Un plauso va quindi a chi ha saputo ben inquadrare uno dei grossi problemi della Penisola, dove poco si dà alle cose importanti come la formazione e le giovani generazioni, mentre ampio scenario è messo a disposizione per temi di scarsa rilevanza.

E sul punto della formazione, sale della crescita culturale e sociale del Paese, si è anche soffermata la stampa nazionale che è andata a testare i parlamentare, cercando di capire a quali gradi formativi siano arrivati prima di accasciarsi sugli scranni delle due Aule.

Come è ormai noto, da un paio di giorni il testo della Legge di Stabilità è passato in Senato. Dopo la presentazione del presidente Letta all’assemblea, il disegno di Legge è stato trasmesso alle commissioni per la fase di bilancio e queste produrranno ciascuna un proprio rapporto che verrà vagliato dalla Commissione bilancio entro il 29 ottobre. Intanto già sui maggiori quotidiani specializzati e non, le parole chiave sono Tari, Tasi e Trise, che non sono tre nipoti straniere di Paperino, bensì tre tasse che introdurrà proprio la Legge di Stabilità. Ora, la Trise è la famigerata Service Tax, vale a dire la tassa sui servizi che viene suddivisa in Tari (che è la tassa di gestione dei rifiuti urbani e assimilati avviati allo smaltimento, viene introdotta in sostituzione della Tares) e in Tasi (ossia la tassa che andrà a coprire i servizi comunali). Questo è quasi tutto, nel senso che fin qui non si capisce dove si voglia andare a parare. E sì, perché abbiamo parlato in un primo momento di formazione e preparazione per poi fare un volo pindarico fino alla Trise e alle sue due ‘figlie’. Perché? Cosa c’entra la preparazione dei parlamentari che proprio in questi giorni sono chiamati a esaminare la legge? Ebbene, la questione non è tanto disparata come potrebbe apparire! Il punto è che noi, commercialisti e non, siamo arrivati nolenti o volenti a comprendere il significato dei tre acronimi perché bombardati da stampa e tv e anche perché ci siamo chiaramente interessati alla questione, non volendo esser colti di sorpresa qualora la legge dovesse essere definitivamente approvata senza sostanziali mutamenti. Credete forse che i parlamentari, lo ripeto, chiamati a discutere in questi giorni proprio di quel testo, si siano presi la briga di leggere anche solo una paginetta di giornale? Beh, la risposta è tristemente negativa. La maggioranza degli onorevoli senatori e deputati ha dimostrato di essere abile a svincolarsi dalle domande, ma di avere i piedi di argilla per quel che concerne le risposte. Pochi degli interpellati ha dato una spiegazione eloquente ed esaustiva del significato di sigle innocue quali appunto Trise, Tari e Tasi.

Che tristezza! Spendiamo soldi per averli lì, per farci rappresentare da loro e questi non si sbottonano neanche per acquistare, con pochi euro, un quotidiano… giusto per non correre il rischio di fare la figura degli ignoranti!
Come sosteneva lo scrittore francese Victor Hugo, io sono fermamente convinto che “l'unico pericolo sociale è l'ignoranza”. La loro ignoranza!
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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