20 novembre 2012

EVASIONE FISCALE: PIÙ TASSE O MENO SPESE?

A cura di Antonio Gigliotti

Evasione fiscale alla gogna. Questo, in sintesi, è stato l’encomiabile obiettivo che si sono posti i governi succedutisi alla guida del nostro Paese nel corso degli ultimi anni. Anche l’attuale esecutivo presieduto da Mario Monti si è dato molto da fare con l’intento di sferrare il colpo di grazia a quella che da più parti viene descritta come la piaga sanguinante dell’Italia. Si tratta, è ovvio, di uno scopo ampiamente condiviso eppure non si può contestualmente ritenere che l’evasione sia il cosiddetto male dei mali.

Pur proclamandomi convinto che l’evasione determini degli scompensi nell’ordine socio-economico del Paese, mi trovo nella posizione di non poter condividere le affermazioni di quanti, dal fronte governativo e politico, dichiarano che i più comuni disservizi all’interno della cosa pubblica dipendono proprio dalle scarse entrate fiscali e dal fatto che, quindi, non tutti pagano le tasse. Secondo questi signori, il fatto che la pressione fiscale sia aumentata e che si arrivi a pagare intorno al 68% di tasse dipende unicamente da quei contribuenti che non sempre le pagano.

Sembra quindi di vivere in uno scenario da shock economy, teorizzato dall’economista Milton Friedman, secondo il quale è necessario generare nella popolazione un sentimento costante di insicurezza e di stress psicologico, al punto da far diventare accettabile qualsiasi decisione politica ed economica. E non è incoraggiante pensare che tra i politici ai quali il premio Nobel americano forniva consigli e ispirazione figurino il dittatore cileno Pinochet, la lady di ferro Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

Utilizzando altri termini, il risultato non cambia. Per il governo e i suoi sostenitori, il peso dell’evasione e dell’elusione tributaria grava sulle spalle del popolo delle partite Iva, unico vero responsabile dei suddetti disequilibri. Ne consegue che, colpendo questo settore, ogni cosa ritornerebbe al suo posto… Forse anche migliore di come era prima?

Che sia davvero così ho seri dubbi e a quanto pare non sono il solo. Recentemente mi è capitato per le mani un interessante articolo pubblicato da Contribuenti.it . Si tratta di stime che chi lavora nel settore già conosceva, ma che sembrano invece sconosciute ai nostri governati e ad un certo genere di stampa.

Una grossa porzione di somme evase corrisponde a ben 180 miliardi e risulta così suddivisa: al primo posto troviamo le organizzazioni criminali con circa 80 miliardi, al secondo posto invece le grandi aziende e le multinazionali con 38 miliardi. A seguire, vi sono i lavoratori dipendenti ed extracomunitari che lavorano in “nero”. Mentre le società di capitali si attestano sui 22 miliardi circa. Chiudono il popolo delle partire Iva e le Pmi con 9 miliardi.

Si consideri che le maggiori manovre delle diverse squadre esecutive, da ultimo quella montiana, hanno inteso colpire unicamente le società di capitali, le Pmi e gli autonomi con partita Iva, chiudendo invece gli occhi su fatturati evasi ben più grossi e realtà molto più grandi che i nostri tecnici ben conoscono. Le misure restrittive adottate sono volte a racimolare circa 30 miliardi colpendo quindi solo gli ultimi gradini della piramide evasiva.

Il risultato? Una siffatta direzione intrapresa incide non poco sulla depressione dell’intero sistema economico italiano dove si agisce con l’ormai consueto metodo del “bastone e carota”.

Pur riconoscendo la necessità di iniziare da qualche parte, perché non si è proseguito poi con i lavoratori dipendenti che hanno due lavori? O con i rivenditori di merce contraffatta? Beh, forse perché nel primo caso si tratta di una fascia iperprotetta e nel secondo di soggetti, spesso stranieri, che non hanno patrimoni da aggredire.

Poiché non si riesce (ed a volte non si vuole) colpire le mafie e le multinazionali (ben conosciute da tanti tecnici) non rimangono che le piccole e medie imprese, sulle quali si concentra tutta l’attenzione.

Ma questo è un settore in estrema difficoltà, infatti gli ultimi dati ci dicono che nei mesi più recenti hanno chiuso circa 50.000 imprese.

L’indagine di Contribuenti.it fa emergere che nel 2011 (il 2012 sarà peggio), una grande società su tre “ha chiuso il bilancio in perdita e non pagando le tasse. Inoltre il 94% delle big company abusa del ‘transfer pricing’ per spostare costi e ricavi tra le società del gruppo trasferendo la tassazione nei Paesi dove di fatto non vi sono controlli e sottraendo al fisco italiano 37,8 miliardi di euro all’anno”.

Alcuni Paesi, tra i quali la Germania e la Gran Bretagna stanno attuando politiche volte a combattere le multinazionali. Noi, invece, continuiamo a combattere l’evasione, quella delle Pmi tartassando il mondo delle partite IVA… Ma nulla facciamo invece, ad esempio, per combattere l’enorme sperpero di denaro pubblico.

Nel diciannovesimo secolo Maffeo Pantaloni, così affermava:”qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese”.
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