5 ottobre 2022

Il ruolo del revisore nell’evoluzione del Codice della crisi

Autore: Fausto Alunni
Ante recepimento della Direttiva Ue 1023/2019, tutto il sistema dell’allerta si basava sugli assetti organizzativi interni con ruolo centrale dei soggetti deputati al controllo, tra cui il revisore. Con il Dl 118/2021, l’art. 15 nella nuova procedura fa riferimento, esclusivamente, all’organo di controllo senza più alcun accenno ai compiti del revisore. Da più parti ci si è chiesto se si tratti di un ridimensionamento del ruolo del revisore in funzione della prevenzione della crisi. È evidente come il sistema sia ora improntato e centralizzato sull’organizzazione di un adeguato assetto la cui responsabilità pende tutta sull’imprenditore rispetto a quanto previsto in un primo momento.

Del resto, ove si volesse attribuire al revisore anche il controllo di gestione di cui all’art. 2403 Codice civile, bisognerebbe domandarsi anche a quali norme questi dovrebbe far riferimento: non certamente alla normativa del collegio sindacale delle Spa sul controllo di gestione, dal momento che l’art. 2477, co. 4, cc, stabilisce che tale disciplina trova applicazione “nel caso di nomina di un organo di controllo anche monocratico”, mentre nessun riferimento viene diretto al revisore come avviene nei commi precedenti dell’art. citato dove, invece, questi viene sempre espressamente nominato. Né in tal senso è stato mai adeguato il framework di riferimento della revisione legale dettato dal Dlgs 39/2010. Premesso quanto sopra, tuttavia, non si può nemmeno affermare che il sistema di monitoraggio, prevenzione ed intervento anticrisi possa svolgersi prescindendo dall’attività di revisione e da precise responsabilità dello stesso.

Nella nuova stesura il codice assegna al revisore due specifiche importanti funzioni: l’affiancamento all’esperto nell’àmbito delle trattative tra imprenditore e soggetti coinvolti ed interessati (ex articolo 16, comma 2); la verifica con l’esperto sulle possibilità di risanamento dell’impresa attraverso le informazioni detenute dall’organo di controllo e dal revisore legale in carica (ex articolo 17, comma 5). Nella prima funzione il revisore dovrà essere organo non legato all’impresa o ad altre parti coinvolte nel risanamento; nella seconda ipotesi sarà proprio in quanto organo di controllo che potrà dare il proprio contributo alla soluzione della crisi.

Non c’è dubbio, dunque, che la nuova versione del codice della crisi centra meglio l’obiettivo del soggetto deputato al controllo di gestione ed al monitoraggio anticrisi di cui agli artt. 2403 e 2086, co. 2, cc, evitando di coinvolgere il revisore in un’attività non proprio in linea con le proprie funzioni. D’altra parte, il revisore viene individuato come soggetto chiamato ai due compiti sopra menzionati di cui, nel primo, svolgerà una funzione di assurance più che di revisione legale, direttamente connessa al principio di indipendenza come definito in funzione degli incarichi di revisione legale dei conti (articoli 10 e ss. D.Lgs. n. 39/2010); nel secondo, il revisore interverrà quale garante degli elementi informativi che l’imprenditore ha messo a disposizione dell’esperto, in funzione della competenza, obiettività e imparzialità che sono alla base della conoscenza acquisita proprio grazie all’incarico di revisione. Ma l’attinenza dei compiti del revisore con quanto prescritto dal codice della crisi non si ferma qui.

Se il revisore tradizionalmente, infatti, è chiamato a svolgere una tipologia di controllo che poco si addice alla “tempestività” di “monitoraggio anticrisi” del controllo di gestione dovendo egli limitarsi ad esprimere un giudizio sull’attendibilità del bilancio; d’altra parte, di certo, la prospettiva della sua attività sembra acquisire un maggior respiro ed ampliarsi in ottica prognostica quando si tenga conto che il revisore deve esprimere un giudizio sull’adeguato utilizzo da parte della direzione del principio di continuità aziendale e sulle sue incertezze significative. In quest’ottica, allora, pur nella consapevolezza che la responsabilità della valutazione della continuità aziendale spetta solo e comunque alla direzione dell’impresa, sembra esserci una stretta correlazione tra le funzioni e le connesse responsabilità del revisore e quanto richiesto dal codice della crisi e dall’art. 2086, co.2, cc.

In questo senso poco conta che la nuova procedura del codice della crisi abbia cancellato l’obbligo della segnalazione, poiché, seppur in modo e tempistiche differenti, la stessa segnalazione era già una responsabilità del revisore sulla base di quanto previsto dal principio Isa 260 che impone al revisore di comunicare ai responsabili dell’attività di governance gli eventi e/o le circostanze identificate che possono far sorgere dubbi significativi sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come un’entità in funzionamento, dovendo tale comunicazione avvenire in maniera tempestiva a seconda della rilevanza e della natura dell’aspetto da comunicare e dell’azione che si prevede sia da intraprendere dai responsabili dell’impresa.
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