Un po’ come i gas di scarico nell’atmosfera, gli effetti nefasti del “Dieselgate”, lo scandalo esploso nel settembre sei anni fa, non si sono ancora esauriti, e difficilmente lo faranno in tempi brevi. In Germania, la “VZBV”, la federazione che riunisce ben 44 organizzazioni in difesa dei consumatori, ha appena promosso un’enorme “class action” contro la Daimler.
La denuncia, presentata alla Corte d’Appello di Stoccarda, chiede che gli acquirenti di modelli Mercedes sottoposti a manipolazioni sui gas di scarico e poi ritirati dal mercato ottengano il giusto risarcimento. Secondo una stima della VZBV, si calcola siano state oltre 254mila le vetture richiamate a partire dal 2018. “La VZBV presuppone che la procedura consentirà ai consumatori di chiedere i danni. Le parti che ritengono di aver subito un danno avranno la certezza che Daimler abbia intenzionalmente dotato diversi modelli di veicoli di dispositivi illegali di manipolazione delle emissioni. Ma nonostante i richiami delle autorità, Daimler continua a negare di aver variato intenzionalmente i valori”, ha commentato Klaus Müller, direttore esecutivo dell’associazione.
La replica della Daimler AG, azienda nata nel 2007 dopo la vendita del gruppo Chrysler alla “Cerberus Capital Management”, non si è fatta attendere. In una nota, il gruppo di Stoccarda ha bollato come “priva di basi” l’azione legale, dicendosi pronta a contestare la richiesta in aula, ma intanto la notizia ha alzato la pressione sul titolo, sceso del 2,08%.
Lo scandalo del Dieselgate esplode con forza il 18 settembre 2015, quando l’Epa, l’agenzia statunitense per la protezione ambientale, accusa pubblicamente la Volkswagen di installato sui motori diesel TDI un software illegale che permetteva di aggirare le normative ambientali sulle emissioni di NOx. Il titolo del gruppo tedesco crolla, e il terremoto costa per cominciare la poltrona a Martin Winterkorn, l’amministratore delegato, ma va peggio a Oliver Schmidt, dirigente di VW USA, arrestato in Florida per frode.
Nel giro di poco, lo scandalo si allarga a macchia d’olio, colpendo numerosi marchi automobilistici, tutti sospettati di comportamenti anomali e sottoposti a numerose indagini. Al colosso di Wolfsburg, la vicenda è costata più di 32 miliardi di euro fra rimborsi, sanzioni e spese legali.
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