25 marzo 2023
CarrieraAlias

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Alias

Autore: Ester Annetta
Lucy Salano era nata come Luciano e così era stata registrata all’anagrafe di Fossano poco meno di un secolo fa, nel 1924.

La sua vita non era stata affatto semplice: non solo aveva dovuto affrontare i pregiudizi di una società e di un tempo in cui era decisamente più faticoso di oggi accettare la sua condizione di transessuale; ma di quel “marchio” aveva dovuto anche pagare le conseguenze, subendo la deportazione a Dacau, nel 1944.

In un documentario di due anni fa, girato dai registi Matteo Botrugno e Daniele Coluccini col titolo ‘C’è un soffio di vita soltanto’ (come quello di una sua poesia) l’aveva raccontata lei stessa quella fatica, ricordando i sei mesi di prigionia scontati nel campo di concentramento (fino alla liberazione nel 1945) quando la picchiavano, la imbrattavano con il catrame e le “facevano fare delle cose schifose” per via della sua diversità.
“Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile”, raccontava, e di come durante la prigionia a Dachau le avessero assegnato il compito di trasportare i cadaveri alla cremazione, tutte le mattine dopo l'appello.

Dopo la guerra – cui, nonostante tutto, era miracolosamente sopravvissuta - si era stabilita fra Torino e Bologna e, negli anni '80, si era finalmente sottoposta all’intervento per diventare donna, a Londra.

E per tutto il resto della sua esistenza non aveva fatto altro che rivendicare la sua libertà, il suo vero essere, raccontando la sua forza e il suo incredibile vissuto di unica persona trans che dai campi di concentramento aveva fatto ritorno.

Lucy è morta il 22 marzo scorso, con un tempismo quasi perfetto, alla vigilia della prima manifestazione romana per i diritti dei giovani transgender, prevista proprio per oggi, 1° aprile, come seguito naturale della già consolidata Giornata Internazionale della visibilità transgender (che cade il 31 marzo).

E’, difatti, una nicchia specifica - all’interno dell’ambito più generale della questione della tutela e della difesa dei diritti delle persone transgender – quella occupata da studenti e studentesse che, giacché non si riconoscono nel loro corpo, nel genere che gli è stato attribuito alla nascita, rivendicano precise tutele nei contesti scolastici e universitari che frequentano e dove ancora si trovano esposti a bullismo, violenza transfobica, isolamento sociale.

Sono stati dunque questi giovani ad aver voluto una marcia (che sfilerà sotto una bandiera arcobaleno di cinquanta metri, lungo un tragitto di circa tre chilometri, da piazza dell’Esquilino a Piazza Madonna di Loreto) ed una manifestazione (che è stata chiamata Project Trans Youth) che hanno dedicato proprio a ragazzi e ragazze in transizione, ad adolescenti non binari, a tutti i loro coetanei che avvertono una disforia di genere proprio in quella fascia d’età, già di per sé complessa, in cui un percorso di accettazione appare lungo e tortuoso.

Hanno idee chiare ed hanno a fuoco i temi principali della loro questione, che passa anzitutto dalla rivendicazione di quella “carriera alias” che costituisce il primo passo per esprimere e costruire l'identità di genere a livello individuale e sociale e che sinora soltanto duecento scuole e pochi atenei sul territorio nazionale hanno avviato.

Consiste nella possibilità riconosciuta ad alunni che, durante il loro percorso scolastico, percepiscono una propria identità sessuale diversa da quella con cui sono nati, di modificare il proprio nome anagrafico con quello che hanno scelto di avere in tutti i documenti interni alla scuola non aventi valore ufficiale e nel Registro Elettronico.

Si tratta di uno strumento utile a sostenere il benessere psicologico dei ragazzi, anche al fine di non pregiudicarne il rendimento scolastico.

La “carriera alias” in Italia non ha ancora una regolamentazione ufficiale, giacché il Ministero dell'Istruzione non ha emanato linee guida specifiche per la sua attivazione. Sono dunque le singole scuole, nell’ambito della loro autonomia, ad emanare appositi regolamenti, a discrezione del dirigente (e della sua sensibilità al tema).

Nell’ottica di interventi più strutturati, si vedrebbe invece la necessità di formulare non solo indicazioni uniformi e generali, ma anche l’attivazione di percorsi di formazione per il personale scolastico e di supporto alla genitorialità.

Ma, a prescindere da posizioni di condivisione o rifiuto di siffatte iniziative, il monito del “cum grano salis” è auspicabile che venga tenuto in debito conto da quanti se ne fanno promotori e dagli stessi protagonisti, affinché non si cada nel rischioso eccesso di ogni tendenza che diventa esagerazione ed ostentazione priva di sostanza.

E’ fragile come non mai la condizione di chi vive un disagio d’identità, ed è davvero alto il rischio di conseguenze estreme (depressioni, disturbi alimentari, persino suicidi) favorite da contesti in cui al sostegno efficace si sostituiscano la moda, gli slogan sterili e le rivendicazioni da vetrina.

Che sia dunque concreta e necessaria ogni crociata intrapresa per la difesa d’ogni debolezza, per evitare che il rimedio faccia peggio del danno.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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