Costantin Ceoclu aveva 51 anni ed era romeno.
Altro non si sa di quest’uomo deceduto nel centro ustionati dell'ospedale Santissima Annunziata di Sassari a inizio settimana, dopo due (o forse tre?) giorni d’agonia.
A ridurlo in fin di vita era stato il suo estremo gesto di darsi fuoco - dopo essersi interamente cosparso di un liquido infiammabile - davanti un bar di Assemini, nel cagliaritano (o forse proprio a Cagliari?), nella giornata (mattina, pomeriggio, sera?) del 24 settembre.
In quel momento, il locale era gremito di gente.
L’uomo voleva manifestare davanti a tutti lo scontento per quanto fatto - “secondo lui” - dal titolare del locale, il quale, dopo averlo incaricato di eseguire alcuni piccoli lavori edili, non lo aveva pagato.
Preso, perciò, dalla disperazione e dalla rabbia e “date le sue già gravi difficoltà economiche”, si era dato fuoco.
A tentare di soccorrerlo era stato solo un giovane poliziotto della squadra volante della questura di Cagliari presente alla scena. Il giovane aveva cercato di spegnere le fiamme, senza tuttavia riuscire a salvare l’uomo e riportando, a sua volta, gravi ustioni a causa delle quali è stato a sua volta ricoverato nello stesso reparto in cui era stato poi trasportato l’uomo.
Questa è la notizia che, con tutte le sue imprecisioni (in parentesi) e le supposizioni (tra virgolette) del caso è stata riportata in succinti trafiletti dei vari quotidiani, con la leggera e superficiale tecnica del copia-incolla, senza approfondimenti, senza considerazioni, senza giudizi, con un distacco - anzi - ed una asetticità che fanno male a chiunque abbia un po’ di coscienza e compassione.
Il compitino che andava fatto per prendere la sufficienza.
Siamo davvero biasimevoli; siamo in grado di discutere per giorni sull’orologio di Roman Pastore, di interessarci all’abito da sposa di Miriam Leone, di schierarci su un fronte o l’altro nelle polemiche che si accendono sui social quando la tenzone sia tra personaggi dello spettacolo e uomini politici. Ma se, invece, si tratta di dare un volto alla disperazione, di domandarci quanto profonda possa essere e quante siano quotidianamente le persone che annaspano, che si affannano a resisterle per non gettarsi a loro volta nelle fiamme - vere - di quell’inferno che dentro le divora, facciamo il giro largo, prendiamo le distanze, come se evitando di fermarci a guardare e a riflettere si possano tenere lontani il disagio, la paura e il contagio del dolore altrui.
Dovremmo invece domandarci chi era Costantin, qual era la sua storia, qual era la sua vita; se avrà avuto una famiglia, dei figli, un passato migliore rispetto a quello di un esule costretto a sbrigare piccoli lavoretti per campare; quanti Constantin ci circondano; qual è il limite estremo della disperazione oltre il quale si giunge a ritenere che davvero solo la morte sia l’unico rimedio per porre fine a soprusi e ingiustizie contro i quali non c’è altra difesa poiché la necessità ed il bisogno sono state barattate con la rinuncia alle tutele; perché davanti ad un locale gremito di gente solo chi veste una divisa ha l’ardore e l’ardire di intervenire su un’emergenza di fronte all’indifferenza generale e quanto quest’ultima possa ancora una volta essere dettata dall’etichetta di “diverso” o “straniero” che penzola dalle maniche di individui trattati come merce.
Soprattutto e più in generale dovremmo domandarci dove sia, nel concreto, l’impegno di un’intera società nel garantire l’uguaglianza ed il rispetto di sovrani diritti garantiti da una Costituzione nata – come disse Calamandrei nel suo celebre discorso ai giovani di Milano nel 1955 – “dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità”.
Articolo 36
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
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