Lo shock degli americani di fronte alle macerie delle “Champlain Towers”, il palazzo di 16 piani di Miami ridotto in polvere, non si placa. Quelle sono scene che gli statunitensi si vantavano di vedere soltanto al telegiornale, nelle cronache che raccontavano il resto del mondo. E viverle di persona significa toccare con mano una realtà ben diversa fatta della stessa incuria e speculazione che muove il resto del pianeta.
Ma è shock, e perfino il presidente Biden è costretto dall’ondata popolare di sbigottimento a inserire il crollo nell’agenda personale, con una visita sul luogo del disastro prevista per domani, mentre dal prato della casa Bianca invocava un’indagine giudiziaria in grado di accertare le cause e stabilire eventuali colpe. Nel caos lasciato da numeri che parlano di 12 morti e ancora 149 dispersi ufficiali, interviene anche Katherine Fernandez Rundle, procuratrice della contea di Miami-Dade, intenzionata a convocare un “grand jury” per valutare ogni possibile passo verso la salvaguardia dei cittadini e garantire i più profondi accertamenti tecnico-scientifici sul crollo.
Ma nel frattempo, la gente di Miami si chiede quanti altri edifici a rischio come le Champlain Tower ci siano in una città che negli anni ha assistito ad un’urbanizzazione spietata che non sembra aver tenuto conto di nulla, dai materiali scadenti all’idea folle di piantare le fondamenta sulla sabbia. Preoccupazioni che crescono, sapendo che la stagione dei cicloni è ormai alle porte, mentre iniziano a circolare anche voci secondo cui nei mesi scorsi i responsabili del condominio avevano inviato una lettera ai residenti spiegando dell’urgenza di realizzare lavori di manutenzione per un totale pari a 15 milioni di dollari.
Le indagini sul crollo al momento si concentrerebbero sulla zona della piscina, dove secondo diversi testimoni pochi istanti prima del crollo si sarebbe aperta una profonda voragine, e in quella dei garage sotterranei, spesso invasi dall’acqua.
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